Treni italiani con carrozze a due piani, un libro che se lo sapevo non lo acquistavo, vediamo il perché.
L’editoria ferroviaria specializzata italiana da lungo tempo ci conforta nella realizzazione di periodici e libri di alto livello, sia contenutistico che grafico. Da quest’ultimo settore i programmi elettronici di fotocomposizione, la fotografia digitale, il graphic paintshop ed altro ci permettono di apprezzare appieno le immagini. La correzione automatica dei testi, i programmi di scrittura, lo stesso Thesaurus di cui io mi giovo mentre sto scrivendo, mi permettono di evitare nei limiti del possibile quegli errori grafici ed anche lessicali che possono capitare. Sui contenuti, aimè, non c’è niente da fare.
Premetto che scrivendo queste note, che sono frutto solo delle mie osservazioni, vorrei agevolare ed invitare chi si cimenta in un’opera di divulgazione ferroviaria, sia essa un articolo che un libro, onde evitare alcuni errori che purtroppo, sempre a mio avviso, hanno fatto di molto decadere la qualità contenutistica del libro in oggetto.
Vediamo in dettaglio. Una prima osservazione viene dal titolo, in effetti mi aspettavo anche i treni TAF o gli ultimi TSR, che se non propriamente carrozze obtorto collo, almeno per i TSR sono comunque a due piani, ed italiani. L’opera poteva comprenderli, magari senza aumentare il numero di pagine, come in seguito dimostrato dalle inutili ripetizioni di disegni.
Capitolo 1 – Introduzione ed origine delle carrozze a due piani Noto che le carrozze sono identificate in Due Piani, in maiuscolo, francamente non capisco perché, dato che nel titolo sono in minuscolo. Nella breve introduzione si parla dell’esperienza francese con le vetture a due piani a due assi dell’inizio dello scorso secolo, ed alcune esperienze tedesche contemporanee, passando poi a pie pari al progetto francese degli anni Settanta. Di vetture a due piani ce ne sono state molte altre, ed un excursus più ampio, almeno fotografico si poteva fare. Cito a memoria, solo in Europa, le esperienze francesi e tedesche negli anni delle due guerre, con vetture a carrelli e per i tedeschi, articolate. Inoltre non sono state citate le vetture più recenti a due piani sviluppate dalla DR e poi dalle unificate DB, la cui sagoma limite più ampia ha consentito l’estensione del piano superiore a tutto il veicolo e non solo nella parte centrale. Inoltre le recenti realizzazioni suburbane delle SBB, addirittura con l’intercomunicante al piano superiore sono significative. E senza andare negli Stati Uniti, dove si potrebbe aprire un capitolo dedicato.
Mi rende oltremodo perplesso l’asserzione dell’abbandono della sperimentazione sulle ferrovie prussiane di vetture a due piani perché il superiore scoperto ed inadatto alle avverse condizioni atmosferiche. Mai sentito parlare di tetto?
Le "carrozze costruite per le ferrovie Lubech-Buchener (…) configurate con due semicasse e carrello in tandem". Suppongo che la Lubecca-Buchener sia una linea ferroviaria e non una rete di ferrovie, poi il carrello in tandem ritengo si tratti della configurazione Jacob. Le carrozze francesi a due piani sono state progettate (e brevettate) dalla CIMT (Compagnie industrielle du matériel de transport) e non CIMIT. Bastava una verifica su Internet.
A pag 7 appare la sezione e pianta di una vettura rimorchiata a due piani. Il disegno viene riproposto a pag.15, a pag. 21, a pag. 32, a pag. 33 (solo metà vettura), a pag. 34, l’altra metà, a pag 40.
Le vetture Vivalto vengono anch’esse replicate con lo stesso disegno a pag. 15, 21 e 22. Un disegno più accurato della vettura Vivalto pilota è a pag 56 e a pag. 59, la carrozza Vivalto intermedia è a pag. 61 e ripetuta a pag. 63 e poi pag. 64 e 66!
Inoltre alcuni disegni hanno una scarsa se non assente definizione: il disegno della cassa a pag. 23 è illeggibile; i disegni a pag. 36 e 37 sono stampati male. Le fotografie A parte le splendide immagini a piena pagina di fotografi ferroviari valenti come Tolini, Radice e Pallotta, molte immagini sono mal stampate o addirittura fuori fuoco. Mi riferisco alla vettura CIMT di pag. 5, tratta da fotocopia, o la pesante sfocatura delle foto a pag. 33 e a pag. 70 in basso a destra. Molte foto sono a bassissima risoluzione, come a pag. 38 in alto, a pag. 51 a pag. 70 e la grande a pag. 71, con quel fastidioso effetto segmentato.
Sei pagine sono dedicate alla marcatura dei veicoli ed alla spiegazione della cifra dell’autocontrollo. Il concetto, seppur nobile, è già stato più volte trattato da recenti pubblicazioni più generali, e mi sembra un’inutile ripetizione. La marcatura letterale, per esempio, poteva essere limitata alle possibili classificazioni di queste vetture.
E veniamo alle perplessità. A pag. 24 vi è la descrizione del veicolo, didascalica e da manuale. Quando si descrive l’accoppiatore automatico Schaku si parla che “il gancio automatico garantisce l’accoppiamento completo, meccanico, elettrico e pneumatico per un movimento con velocità fino a 5 km/h”. Cosa succede per velocità superiori? Si sgancia? In verità si voleva spiegare che la massima velocità consentita per l’accoppiamento è 5 km/h. “…inoltre "il perno di testa ha una particolare forma che permette di correggere eventuali disassamenti tra le teste degli accoppiamenti”. In maniera comprensibile avrei scritto che l’accoppiatore automatico è dotato (come tutti gli accoppiatori di questo tipo) di elementi che consentono l’autocentraggio delle testate dei due accoppiatori. Il perno sta nel castelletto di trazione all’interno del pancone.
A pag. 26 si parla del carrello, mi consentirete di essere spietato. “Il rodiggio è costituito dai carrelli” e le ruote? “filtrare i dislivelli cui sono soggette le sale sui giunti e sulle ineguaglianze del binario”, esatto, ma ci riesce anche la sala rigida collegata alla cassa. “realizzare sospensioni multiple per ottenere deformazioni totali di 200-300 mm” siamo sicuri? Ma neanche un carro merci a pieno carico ha una tale corsa. Non capisco poi perché la sospensione primaria è definita esterna e la secondaria interna. Inoltre non viene minimamente accennato alla capacità della sospensione secondaria di assecondare la rotazione del carrello. Nella foto di destra a pag. 26 si indicano con le frecce una sospensione principale (??), forse si intendeva primaria, ed un ammortizzatore tra boccola e telaio carrello definito incomprensibilmente come “ammortizzatore principale”. La descrizione degli organi di frenatura a pag. 27 (ci si dimentica di citare i dischi freno) è ripetuta ancora a pag. 28. "Inoltre" mi pare che si scriva attaccato, viene ripetuto "In oltre" più volte, segno che il correttore automatico non era stato applicato.
Pag. 36 “Queste carrozze sono dotate di carrelli Fiat speciali, tipo F2P a passo più corto 2400 mm..:” è scritto proprio così, più corto di che cosa?
Capitolo 4, descrizione delle vetture. “Le carrozze a due piani FS sono state studiate, anche se di costruzione spartana, con arredi interni molto semplici”. Sono un pendolare, non aggiungo altro. Il concetto che le ampie porte “permettono un facile veloce incarrozzamento dei viaggiatori”, sulle due piani CIMT è completamente errato. A differenza dei francesi, non abbiamo i marciapiedi a raso delle porte. Pertanto, per me inconcepibilmente, devo salire per entrare, poi devo sempre o salire, oppure scendere, a discapito della velocità di incarrozzamento. Il vantaggio delle piano ribassato, di mettere le porte nella sezione tra i carrelli è stato dimenticato, per fortuna ripreso sulle Vivalto, sui TAF (a parte l’assurda scala curva) e sui TSR.
Pag. 47, il testo è incomprensibile, mancano righe e la sintassi e la concettualità si è persa pagine prima. Pag. 48, nella descrizione della costruzione della carrozza si è dimenticato di accennare a quando si ricavano con taglio i finestrini.
Le didascalie Pag. 25 non vi è nessuna descrizione del nuovo sistema di intercomunicazione delle Vivalto, seppur vi è l’immagine. Le foto di pag. 28 sono invertite. Pag. 43. Una livrea pubblicitaria è descritta come “carrozza con cassa ricoperta da graffiti”. Ma dov’era l’Editor? dormiva? L’autore purtroppo non è stato supportato da un collaboratore che rileggesse, scientemente, l’opera.
Spero che queste note possano avviare un dibattito tra chi è d’accordo con le mie osservazioni verso quelli del “libro a tutti i costi”, ovviamente nei limiti della decenza e del rispetto reciproco, sempre più raro, anche in questo forum. Ovviamente, mi firmo
Alessandro Albè
|