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MessaggioInviato: lunedì 20 febbraio 2006, 13:35 
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Bello. :)


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MessaggioInviato: martedì 21 febbraio 2006, 21:36 
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Matteo (PR) ha scritto:
Bellissimi racconti! Emiliano, toglimi una curiosità, la tua è una storia vera, oppure è solo verosimile?


Questa storia NON e' vera,pero' avendo frequentato per anni la Garfagnana,ho cercato di stendere una "sceneggiatura" ispirandomi ai vari momenti vissuti su quella linea...
Ringrazio tutti per i complimenti...
A breve ,invece vi proporro' un racconto di un episodio realmente accaduto qualche anno fa,non a me , ma ad un ferroviere,che me lo ha raccontato.
Ciao,
Emiliano


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MessaggioInviato: giovedì 23 febbraio 2006, 17:40 
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Il casello

Quarantasei anni. Quarantasei anni aveva passato in quel casello, Pasquale. Lui e Maria, con la compagnia di qualche gallina e di una dinastia di cagnolini. L’ultimo, Riccio, nero ed arruffato, pigro e docile, non si perdeva da anni il passaggio di un treno. Di giorno o di notte, quando Pasquale impugnava la bandierina rossa o la lanterna per avviarsi verso il binario, lui gli trotterellava a fianco, scodinzolante come se ogni volta si aspettasse uno spettacolo nuovo ed imprevedibile. Quanti convogli aveva visto transitare insieme al suo padrone? Chi lo sa. Ciò che di certo non sapeva era ciò che da qualche tempo Pasquale andava ripetendo alla moglie: “Treni elettrici. Dicono che fra un po’ arriveranno anche qui, sulla nostra linea. Ormai siamo vecchi, Maria. Ho più di settant’anni e a te manca poco. Quando qui spariranno le vaporiere io smetterò. Non sarebbe più un posto per me.”
Intanto, però, dieci minuti prima dell’arrivo di un treno (non doveva nemmeno più guardare l’orario, lo sapeva a memoria), abbassava le sbarre ed in piedi sul marciapiede, davanti al casello, con il caldo e con il gelo, sotto il sole, la pioggia o la neve, segnalava con la bandierina o la lanterna il passaggio a livello. I macchinisti lo salutavano (o lo ringraziavano?) con un fischio della locomotiva. Pasquale osservava il convoglio allontanarsi, fino a quando le luci rosse dell’ultimo vagone non scomparivano dietro la curva, inghiottite dagli alberi del bosco ai margini del binario o dal buio della notte. Mentre lentamente si avviava verso casa veniva colto sempre più spesso dalla malinconia. Cosa sarebbe stata la loro vita se in quel cortiletto dietro il casello, sotto il melo, avessero visto correre anche un bambino e non solo il cane e le galline? E invece aveva visto la sua Maria diventare grigia, le sue guance morbide e rosa coprirsi di rughe, mentre ogni giorno, senza mai lamentarsi e senza mai pretendere, cucinava, lavava, stendeva i panni (ci sono sempre, chissà perché, panni stesi ad asciugare fuori dai caselli), portava il mangime alle galline, trapiantava i fiori... Si volevano bene, loro due, ma con un bambino sarebbe stato diverso. Appena sposati scherzavano spesso: se è un maschio lo si chiama Francesco, e diventerà macchinista, un ferroviere vero, se è femmina, ti va bene Margherita? O Elena? Poi non ne parlarono più. Ogni tanto uno guardava l’altro, intento a lavorare, e sospirava. Era il loro modo di dirsi che si volevano bene e che la vita in quel casello non avrebbe avuto lo stesso senso senza l’altro accanto.
La notte che Pasquale morì, Maria non ebbe neppure il tempo di piangere. Il marito la svegliò scuotendole un braccio. Quando lei accese la luce lo vide cianotico, con lo sguardo già vitreo, che cercava di farfugliare qualcosa come se russasse. Rimase immobile, con gli occhi spalancati, mentre la moglie gli chiedeva, premurosa e terrorizzata, cosa stesse succedendo, se volesse una camomilla, l’unico rimedio a cui fosse abituata a pensare. Non ebbe il tempo di piangere, perché mancava solo un quarto d’ora al passaggio delle treno delle quattro e venti. Bisognava uscire, abbassare le sbarre, agitare nel buio la lanterna rossa... Quella notte toccava a lei. Non aveva pianto prima, ma quando il treno si allontanò le lacrime le rigarono il viso. Il casello sarebbe stato vuoto e freddo, senza Pasquale. L’autunno stava cedendo il posto all’inverno. Nella stufa non sarebbe più bruciata la legna che lui andava a raccogliere nel bosco. Il passaggio a livello, poi, stava per essere automatizzato. Quello non sarebbe stato più un casello ferroviario, ma solo la sua casa, la casa di Maria e basta.
Quando venne l’inverno, però, non ci fu mai freddo, lì dentro. Le locomotive scomparivano ancora dietro alla curva, ma sul marciapiede, ai piedi di Maria, restava ogni tanto un sacco di carbone. Era, con il fischio che si perdeva nel bosco, il saluto ed il ringraziamento dei macchinisti.


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MessaggioInviato: giovedì 23 febbraio 2006, 21:16 
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Da brividi, mi ha troppo commosso...
Bravo Roberto !
Emiliano


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MessaggioInviato: venerdì 24 febbraio 2006, 11:30 
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"complimenti Roberto"? Magari... In realtà il racconto non è opera mia, ma di mio padre (Gianni Morandi, classe 1948, non il cantante). Me lo fece trovare una sera, sarà stato un dieci anni fa, non ci vedevamo se non la sera, perchè lui lavorava (e lavora) dalle 7.30 alle 19.30. Se io esco dopo cena ci si vede praticamente solo a tavola, magari lui è un po' incavolato per il lavoro, poi si sente "in colpa" e...
Anche se di ferrovie lui non sa poi molto, mi sembra che il racconto sia sufficientemente coerente...
Ciao
Roberto


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MessaggioInviato: venerdì 24 febbraio 2006, 13:31 
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Roberto,
porta i miei complimenti a papà Morandi, bravo!


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MessaggioInviato: venerdì 24 febbraio 2006, 15:24 
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Un bel racconto, Roberto. Dillo a tuo padre anche da parte mia ;o)

Questo racconto mi ha ricordato un bel librino che mi sono letto non molto tempo fa: IL SANTO CHE ANNUSAVA I TRENI, di Lorenzo Beccati (Kowalski Editore): storia di un facchino. E' recente e dovrebbe trovarsi senza problemi.
Ciao.


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MessaggioInviato: venerdì 24 febbraio 2006, 15:44 
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Mi associo ai complimenti al papà!


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uno breve. Bologna, 1986. Concorso in ferrovia, uno dei tanti, durante il servizio militare a Caserta. Finisco il compito, consegno e scappo verso la stazione per poter rientrare entro le 10 di sera. In orario ho un espresso internazionale verso Roma, mi pare l'Italien-Osterreich express (o era l'Alpen express? boh), lo prenso quasi al volo al binario 8. Il lungo convoglio parte quasi subito... direzione nord! Cosa succede? dove va? Lo scopro quasi subito: era il treno diretto all'estero, e caso volle che fosse piazzato nel binario attiguo (7) al suo gemello in direzione sud, che lo incrociava proprio a Bologna, ma i binari di arrivo erano stati scambiati! Scendo a San felice sul Panaro, dove s'ra pure fermata una E633 guasta, e attendo il primo treno utile per tornare a Bologna, che non tarda. Intanto il capostazione al quale mi ero rivolto per chiedere spiegazioni mi dice che comunque purtroppo devo fare il biglietto pur avendo io ragione in un disservizio (tabelloni di partenza errati a Bologna) e spendo pure 'sti altri quattrini. A Bologna prendo un exp da Milano che arriva a Napoli, e da lì entro poco ma sempre oltre mezzanotte, insidiato da autisti abusivi di pulmini ford Transit che si offrivano di portarmi fin sotto la Reggia (a 'isposiziò) chissà per quanto... con un localino di elettromotrici rientro in caserma.


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MessaggioInviato: martedì 28 febbraio 2006, 22:21 
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Una calda estate dei primi anni ’70, le scuole terminate, la canicola di luglio ed il sole a picco del primo pomeriggio invogliavano a restare dietro le persiane socchiuse.
Solo un bambino andava avanti e indietro con la sua bicicletta sulla strada polverosa parallela alla ferrovia.
Da qualche giorno il lattoniere aveva sostituito le vecchie grondaie della nostra casa con altre nuove in rame lucido, le quali sembravano riflettere ancora di più i barbagli accecanti dei raggi solari.
Alle 14,15 precise era uscito dalla sua garitta l’Achille, sbadigliando aveva sbloccato il congegno ed iniziato ad abbassare le sbarre. Puntuale 5 minuti dopo la littorina era sbucata quasi dal verde degli alberi con un fischio aveva salutato l’Achille immobile con tanto di cappello e bandiera inguainata buttata su una spalla a simbolico presentat arm al convoglio in transito.
Per qualche ora non sarebbe passato più nulla, l’Achille sicuramente sarà già a sonnecchiare seduto gomito appoggiato al tavolo e la mano sotto la guancia paffuta.
Invece poco dopo l’Achille di nuovo fuori ad abbassare le sbarre e subito l’ansare di una vaporiera che arranca lenta, rallenta ancora, oltrepassa l’intersezione con la strada, sempre più lentamente, avanza ancora un poco, urla, segnali, fischi e la macchina con il suo carico si ferma poco oltre il passaggio a livello.
La 880 ha dietro di se due o tre carri carichi di rotaie nuove e operai che con appositi argani a manovella, stando sopra il carro, abbassano la rotaia sulla massicciata. Scaricato il primo pezzo, gli uomini sul carro, alcuni in canottiera, chi con un cappello di paglia, chi con in testa un fazzoletto annodato per le quattro cocche, urlano al maestro di proseguire per un altro breve tratto e ancora scaricano una rotaia a sinistra e una a destra.
Il bambino abbandonata la bicicletta sul ciglio erboso, non stacca gli occhi da quella stupenda ed ansante macchina nera, che tante volte aveva visto passare ma mai immobile quasi dentro il cortile di casa
Incurante del caldo del fumo nero e della polvere della strada. Incurante della nonna che lo chiama e che sentito il trambusto, ha smesso di pigiare il pedale della sua fida macchina da cucire Necchi.
Ma il bello, l’insperato doveva ancora venire, il macchinista gli fa un cenno, “vuoi salire?” urla! Al bambino par di sognare, ma non se lo fa ripetere due volte e in un attimo stringe la mano del maestro che dall’alto lo issa in cabina.
Il macchinista ed il suo fuochista gli parlano, ma per l’emozione non ha più fiato in gola, riesce solo a biascicare alcune sillabe quando il fuochista apre il forno e l’abbagliante massa del combustibile incandescente manda una vampata di calore e di luce, nel torrido pomeriggio.
Si sentono ancora i richiami degli uomini addetti allo scarico delle rotaie, il macchinista armeggia nel fitto delle leve e la macchina dolcemente avanza lo spazio necessario per arrestarsi poco oltre.
Percorso il breve tratto, è arrivato il momento di scendere, di riprendere la bici e tornare dalla nonna a raccontare un’avventura indimenticabile.


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MessaggioInviato: giovedì 2 marzo 2006, 10:09 
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Davvero bellissimo, 668!
Racconto di fantasia o ispirato a qualcosa di preciso?
Ciao.


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MessaggioInviato: giovedì 2 marzo 2006, 23:11 
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TaigaTrommel ha scritto:
Davvero bellissimo, 668!
Racconto di fantasia o ispirato a qualcosa di preciso?
Ciao.


Tutto vero, l’avventura citata è capitata a me medesimo nell’estate del 1973 o 1974, vero l’Achille e la macchina per cucire Necchi, tutt’oggi funzionante!

L’Achille
Pensate che i vari casellanti addetti alla chiusura dei cancelli prima e al comando delle sbarre successivamente, del passaggio a livello adiacente alla nostra casa, trascorrevano il loro orario lavorativo in una angusta garitta, munita di stufa a legna in ghisa, ma senza acqua corrente e senza servizio igienico.
Per espletare i bisogni fisiologici durante la permanenza lavorativa, essi utilizzavano un “cesso” a quei tempi presente nel rustico della nostra abitazione.
Tutto ciò avveniva fino a fine anni ’70 quando furono automatizzati i passaggi a livello.
La garitta
Immagine
http://img102.imagevenue.com/img.php?lo ... ARITTA.JPG


Il Carabiniere.
Altro episodio curioso avveniva quando passava sulla linea un macchinista molto strambo, compagno di scuola di un mio zio, il quale iniziava da lontano, a salutarci rumorosamente con il fischio della sua vaporiera e sporgendosi a salutare agitando le braccia in prossimità del nostro balcone.
Lo stesso macchinista, poi passato a guidare le Aln.668, fu protagonista di un involontario investimento di un’automobile ad un passaggio livello su di un’altra linea.
Fortunatamente l’autista dell’automobile fu ferito in maniera molto lieve dall’investimento da parte del convoglio.
Sceso che fu il macchinista dall’automotrice per prestare soccorso al ferito, scoprì parlando che l’investito era di professione Carabiniere.
Attualmente quel macchinista è a riposo.
Ebbene non crederete che costui, ancora oggi si vanta, di avere, nella sua carriera di macchinista, investito un Carabiniere!


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MessaggioInviato: venerdì 3 marzo 2006, 22:47 
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Bravo! Bei racconti, io sto ultimando il mio ...
appena pronto ve lo proporro'!
Emy


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Segnalo che sul sito www.ferroviesardegna.it si trovano i racconti vincitori delle prime due edizioni del concorso letterario delle FDS (2004-2005; 5 racconti per anno). Buona lettura...
Ciao
Roberto


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