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Da leggere; peccato che manchino le foto ed alcune formule, ma non si può pretendere tutto...........
LOCOMOTIVA Enciclopedia Italiana (1934)
di Fi. T., G. Bia. LOCOMOTIVA (fr. locomotive; sp. locomotora; ted. Lokomotive; ingl. locomotive engine). - È la macchina più nota, con la quale nacque la trazione meccanica. Può considerarsi l'emblema del secolo XIX, dominato dal perfezionamento dei mezzi di trasporto.
I primi tentativi di locomozione meccanica si può dire che risalgano al 1769, quando N.-J. Cugnot (v.) riuscì a far camminare un carro munito di una primordiale macchina a vapore; ma vere locomotive si possono dire soltanto quelle costruite in Inghilterra nei primi dell'Ottocento. Anzi per trovare una macchina che meriti di essere considerata il prototipo della locomotiva moderna occorre portarsi al 1829. Fu in quell'anno che, a seguito di un concorso indetto dalla Ferrovia Liverpool-Manchester, G. Stephenson vinse il premio con la sua celebre "Rocket" (il razzo).
Altro inventore, T. Hackworth, presentò allo stesso concorso una locomotiva nominata "Sans pareil" nella quale si nota una particolarità mancante alla macchina dello Stephenson: le ruote accoppiate mediante una biella. Questo piccolo espediente, decisivo per l'applicazione della locomotiva all'esercizio delle ferrovie con le sue diverse esigenze di velocità e di sforzo di trazione, permettendo in confronto alle macchine con ruote libere il trasporto di carichi maggiori, rappresentò, si può dire, l'inizio della specializzazione delle locomotive fra quelle per servizio viaggiatori e quelle per servizio merci: veloci, ma con limitato sforzo di trazione le prime; lente, ma capaci di grande sforzo le altre.
Descrizione e classificazione delle locomotive. -
La locomotiva si può considerare composta di tre parti: la caldaia, il carro e il meccanismo. La caldaia ha due particolari caratteristici: il focolare interno con tubi a fumo o bollitori e il tiraggio forzato, ottenuto utilizzando il vapore di scarico. Questo, uscendo ad una pressione superiore di poco all'atmosferica presso l'estremo del fascio tubolare sotto il fumaiuolo, crea la depressione necessaria per aspirare l'aria sotto griglia e mantenere la combustione. Il fumaiuolo delle locomotive non ha, perciò, funzione analoga a quella degli alti camini degli impianti fissi e quindi ha potuto essere pressoché abolito a misura che la macchina è cresciuta di mole. La caldaia della locomotiva consta anch'essa di tre parti: focolare e suo involucro o portafocolare, corpo cilindrico con tubi bollitori, camera a fumo. Tutto lo spazio compreso tra il focolare e il suo involucro, oltre quello del corpo cilindrico, dedotti i tubi, è pieno di acqua e vapore (fig. 1).
Il focolare ha la forma di una cassa parallelepipeda cui manchi la parete di fondo, composto cioè di cinque lamiere fra loro chiodate; due costituiscono i fianchi, una il cielo, quella anteriore (detta tubolare) porta i tubi e quella posteriore è munita della porticina di caricamento o boccaporta. Alla parete di fondo è sostituita la griglia che sopporta il carbone lasciando passar l'aria per la combustione. Sotto la griglia è una cassa di lamiera, che raccoglie la cenere e si chiama cinerario, munita di apertura per l'entrata dell'aria.
Le pareti del focolare sono in lamiera di rame, metallo che, pur presentando limitata resistenza meccanica, meglio del ferro sopporta l'azione del fuoco e, più esattamente, l'azione dei gas della combustione, i quali possono essere corrosivi, specialmente se il carbone ha un piccolo contenuto di zolfo. Oggi però si fanno anche focolari di acciaio, specialmente in America ove se ne apprezzano i vantaggi dal duplice punto di vista dell'economia di spesa e della leggerezza (lo spessore delle lamiere di acciaio può essere limitato a 7 od 8 millimetri soltanto, mentre per quelle di rame occorrono spessori da 14 a 17 mm.) senza dare eccessiva importanza alla loro minore durata. In America la locomotiva riceve una lavorazione grezza, in maniera da costar poco, il che compensa della più breve vita della macchina e permette di rinnovare spesso la dotazione, approfittando dei perfezionamenti che la tecnica man mano consiglia.
Il portafocolare è costituito anch'esso da cinque lamiere in ferro o acciaio dolce. Il collegamento del focolare col portafocolare è ottenuto per più vie. In primo luogo col cosiddetto quadro di base in ferro forgiato sul quale sono inchiodate dalla parte interna le lamiere del focolare, dall'esterna quelle dell'involucro; in secondo luogo col quadro della boccaporta; infine con una serie di tiranti di rame avvitati sulle due pareti affacciate. Questi tiranti debbono avere una certa flessibilità a causa della diversa dilatazione del rame rispetto al ferro e nella parte superiore prendono forme più complicate, intese a irrigidire la parte piana (cielo del focolare) e ad assicurarne il collegamento con la parete esterna, quasi sempre a vòlta.
Nei focolari delle locomotive si possono bruciare tutti i carboni fossili industriali della categoria litantrace. I più adatti sono quelli mediamente grassi, i quali bruciando non si agglomerano troppo, ché in caso diverso farebbero ostacolo al passaggio dell'aria. È preferibile il carbone in pezzi, ma si adoperano anche i toutvenant o carboni misti che contengono dal 30 al 40 per cento di minuto. Con i minuti, spesso sottoposti a lavatura per separarli dalle materie inerti, commisti all'8% di pece minerale, si fabbricano mattonelle che hanno il vantaggio di occupare minore spazio nel deposito e nel trasporto e perciò si adoperano in una certa proporzione con i carboni naturali.
La griglia delle locomotive non è diversa dalle comuni: di solito essa è inclinata verso la parte anteriore, il che porta al vantaggio di accrescerne, sebbene di poco, la superficie e di favorire l'alimentazione rendendo altresì più regolare e più completa la combustione.
Un accessorio molto importante del focolare è il voltino, cioè un piccolo arco in mattoni refrattarî, portato da due ferri d'angolo applicati alle pareti laterali del focolare, inclinato verso la piastra tubolare e situato sopra la griglia ad un'altezza sufficiente per permettere il caricamento, ma sotto il più basso dei tubi a fumo. Scopo del voltino è di ottenere una combustione più perfetta obbligando la fiamma a rovesciarsi anziché andar subito nei tubi, trascinando materia ancora incombusta. Ma oltre il vantaggio di aumentare il rendimento termico della caldaia, il voltino presenta quello importantissimo di preservare la connessione dei tubi a fumo con la piastra tubolare per il fatto che, immagazzinando calore in considederevole copia, quando il fuoco viene spento, piastre e tubi ricevono calore irradiato dal voltino e quindi il loro raffreddamento avviene in modo graduale, restando evitato il distacco dei tubi dalla piastra.
Il corpo cilindrico della caldaia, così detto dalla sua conformazione, è costituito di tre o quattro lamiere (avvolte nel senso della laminazione con chiodature longitudinali e trasversali) e contiene i tubi bollitori attraverso i quali passano i prodotti caldi della combustione cedendo il calore che va all'acqua, da cui i tubi sono circondati, e trasformandola in vapore. I tubi sono congiunti alle due piastre estreme che costituiscono la parete anteriore del focolare e quella posteriore della camera a fumo. Si facevano una volta in ottone, metallo che meglio resiste alle corrosioni delle acque dure, ma oggi che le locomotive si alimentano con acque assoggettate a depurazione preventiva, si preferiscono i tubi di acciaio ottenuti coi sistemi moderni di laminazione (Mannesmann, ecc.). Il diametro interno dei tubi va da 35 a 50 mm. con uno spessore di 2,5 a 3 mm.; la distanza fra i loro assi va da 60 a 70 mm.
La camera a fumo è il prolungamento del corpo cilindrico. Vuota di tubi e di acqua, in essa sí forma la depressione necessaria per l'aspirazione dell'aria. Porta in alto il piccolo fumaiuolo e al suo centro sbocca il tubo di scarico del vapore. I tubi che vengono dai due cilindri si riuniscono in uno solo, spesso a bocca variabile. La variabilità dell'orifizio di scarico permette di far variare l'attività della combustione, rendendola maggiore col ridurre l'apertura e accrescere quindi la velocità del getto. Però quando si provoca un tiraggio più forte si ha l'inconveniente di accrescere la contropressione nei cilindri; ne risulta così un aumento nella potenza della macchina a spese di un abbassamento del coefficiente di rendimento. Del resto nel funzionamento normale non vi è alcuna necessità di far variare l'orifizio di scappamento; invero, quando la velocità di marcia è elevata, i colpi di scappamento si succedono con maggiore frequenza, ma minore è la quantità di vapore erogata per ciascuno di essi; il contrario avviene quando la velocità è limitata. Stabilendosi così una certa automaticità di funzionamento, la produzione oraria di vapore della caldaia in funzione normale risulta costante.
Le caldaie delle locomotive sono munite di iniettori per l'alimentazione dell'acqua portata dal tender, di presa di vapore manovrabile a distanza e spesso di surriscaldatore, oltre ai soliti accessorî delle caldaie a vapore: tappi fusibili, tubi di livello, ecc. Il meccanismo delle locomotive è costituito da almeno due cilindri posti uno a destra l'altro a sinistra sul davanti del telaio, con le manovelle disposte a 90 gradi perché, se una manovella si trovi al punto morto, l'altra sia nella posizione più propizia al moto. Dei due cilindri uno può essere a bassa, l'altro ad alta pressione. Le macchine moderne sono quasi tutte a duplice espansione (compound) e quattro cilindri, due ad alta e due a bassa pressione: in questo caso si fa in modo che le manovelle di una coppia di cilindri posti dalla stessa parte restino a 180° una dall'altra e si ha così che, mentre delle due manovelle di un lato una si trova in fondo di corsa marcia avanti, l'altra in fondo di corsa marcia indietro, le manovelle del lato opposto si trovano normali alla direzione della corsa, ma una diretta per la marcia avanti, l'altra per la retrograda.
La distribuzione del vapore ha luogo con cassetto semplice, spesso cilindrico. La variazione dell'espansione e il mutamento della direzione di marcia si ottengono con un glifo di tipo noto (Stephenson, Gooch, Allan, Heusinger; è preferito quest'ultimo). Il glifo è comandato con una leva, detta d'inversione. Si cominciano a usare le distribuzioni perfezionate a valvole, che consentono una certa economia nel consumo di vapore; è già molto introdotto il sistema di distribuzione a valvole dovuto all'italiano Caprotti.
Il carro delle locomotive possiamo considerarlo composto di telaio e rotiggio. Il telaio è costituito da due fiancate in grossa lamiera d'acciaio, opportunamente intagliate (sistema europeo) oppure di grosse sbarre di ferro forgiato o acciaio fuso (sistema americano). Gli assi sono dritti quando i cilindri rimangono all'esterno del telaio, a gomito se i cilindri sono interni al telaio. Essi sono tutti o in parte accoppiati (v. appresso). Gli assi non accoppiati si dicono portanti e hanno di solito ruote a raggio minore, oltre a disposizioni che ne consentono lo spostamento rispetto al telaio. Tale spostamento ha lo scopo di ridurre la base rigida della macchina e consentire il passaggio in curve di raggio limitato.
Spesso due assi portanti sono fra loro collegati in guisa da costituire ciò che dicesi un carrello, piccolo telaio che gode rispetto al telaio principale di un doppio movimento relativo, uno di rotazione intorno a un perno congiungente i due telai, l'altro di spostamento laterale in quanto il bossolo del perno, bossolo legato al carrello, può oscillare in un piano trasversale alla macchina. Questo collegamento di natura pendolare fa nascere una forza di richiamo (componente della gravità) che riporta in modo automatico il carrello, spostatosi nelle curve, alla sua posizione normale in mezzería.
Il numero di assi accoppiati dev'essere tanto maggiore quanto più elevato è lo sforzo di trazione che si vuol raggiungere. Per le macchine destinate ai treni viaggiatori non si va al di là dei tre assi accoppiati; per quelle da treni merci si raggiungono cinque, eccezionalmente sei assi accoppiati. Le prime hanno ruote a grande raggio (m. 1,90 ÷ 2,20), le seconde di piccolo raggio (m. 1 ÷ 1,50).
Di solito il peso della locomotiva è uniformemente distribuito sugli assi. D'altra parte il peso massimo per asse è fra le caratteristiche costruttorie di ciascuna linea. Ma si può fare una distribuzione differente fra peso gravante sugli assi accoppiati, utile per l'aderenza, e peso gravante sugli assi portanti, a ciascuno dei quali si assegna un peso minore che per gli assi accoppiati. Il peso su ciascun asse accoppiato deve essere identico.
Ma mentre il numero totale degli assi ci dà indizio della mole e quindi della potenza della locomotiva, è la ripartizione degli assi fra portanti e accoppiati che ci avverte se la potenza della macchina vuole essere spesa per ottenere grande sforzo (molti assi accoppiati) a velocità ridotta, oppure un'alta velocità con sforzo di trazione piuttosto basso (pochi assi accoppiati). Perciò il mezzo più adatto per classificare un tipo di locomotiva è quello di indicarlo con tre numeri, il primo dei quali dia la quantità degli assi portanti anteriori, il secondo degli assi accoppiati, il terzo degli assi portanti posteriori. Né ha importanza il fatto che alcuni, come gl'Inglesi, ricorrano al numero delle ruote (esempio: 4 − 6 − 2) mentre in Italia si preferisce il numero degli assi (2 − 3 − 1) e che i Tedeschi al posto del numero degli assi accoppiati pongano una lettera (A per 1, B per 2, C per 3, ecc.), infine che gli Americani usino dei nomi pittoreschi a significare una data combinazione di assi e quindi di numeri (così il tipo 2 − 2 − 1 è detto Atlantic, quello 2 − 3 − 1 Pacific, 0 − 4 − 0 Sigl, 1 − 4 − 1 Mikado, ecc.).
La fig. 2 rappresenta la locomotiva italiana per treni diretti di più recente costruzione.
Funzionamento della locomotiva. -
Premesse queste note descrittive sulla locomotiva, ne esamineremo più a fondo il funzionamento attraverso lo studio della sua caratteristica meccanica, cioè della curva che lega lo sforzo alla velocità, ovvero la potenza alla velocità, che è la cosa stessa, perché la potenza è appunto il prodotto dello sforzo per la velocità. In generale, la potenza delle macchine varia sempre, più o meno, al variare della velocità; ma per gli usi di trazione sono preferibili le macchine in cui la potenza si mantiene più che è possibile costante. Difatti le macchine a potenza costante spiegano all'inizio del moto, quando cioè, la velocità è bassa, un altissimo sforzo che permette, intanto, di avviare a pieno carico, come è indispensabile, anche un convoglio pesante, consentendo altresì un avviamento rapido la cui influenza può essere di grande effetto sulla velocità media, specialmente nel caso di treni a fermate frequenti. La locomotiva ha avuto così grande successo negli impieghi di trazione appunto perché gode di tale importante prerogativa.
Se chiamiamo con Ni la potenza in cavalli indicati di una locomotiva, si avrà, come per qualsiasi macchina, Ni = F • V/270 in cui F è lo sforzo in kg. misurato ai cilindri e V la velocità periferica delle ruote in km./ora. Se sussistesse l'ipotesi di Ni costante con la velocità, la curva rappresentativa dello sforzo sarebbe un'iperbole equilatera, di facile tracciamento, conosciuta che fosse una coppia dei valori F e V. Ma anche la potenza della locomotiva varia con la velocità e perciò la caratteristica è una curva iperbolica che si distacca molto dall'equilatera.
D'altra parte, se chiamiamo con Q la quantità oraria di vapore prodotta dalla locomotiva, con q la quantità di vapore consumato per cavallo ora, sussisterà anche l'eguaglianza Ni = Q/q. Abbiamo visto che la quantità di vapore prodotta per ora non ha ragione di variare se la condotta del fuoco avviene in modo regolare e potremo quindi ritenerla proporzionale alle due dimensioni fondamentali della caldaia, la superficie della griglia e la superficie di riscaldamento, avvertendo che, per la connessione esistente fra tali due quantità, potrà talvolta comparire nella funzione il loro rapporto. Resta a fare la determinazione quantitativa del valore di Q.
Si può all'uopo scrivere: (manca la formula) in cui G è la superficie della griglia, c il calore medio specifico dei gas della combustione, H la quantità in kg. di gas prodotta dalla combustione di un chilo di combustibile, B la quantità di combustibile bruciato in un'ora su un metro quadrato di griglia in kg., λ il numero delle calorie occorrenti per produrre un kg. di vapore, Tf e Tc rispettivamente la temperatura di combustione del forno e quella nella camera a fumo in centigradi. I valori sperimentali di queste quantità si possono così fissare; c fra 0,24 e 0,27; H fra 13 e 16 kg.; B fra 500 e 300 kg. per carbone inglese da 7000 a 8000 calorie, Tf fra 1300° e 1640°, Tc fra 350° e 360°.
Riuscendo poco agevole stabilire il valore di Tc variabile, fermo Tf, con la lunghezza dei tubi bollitori, conviene trasformare la formula antecedente introducendo il rapporto fra la superficie della griglia G e la superficie di riscaldamento G′ e sostituendo a Tc la temperatura Tα dell'acqua in caldaia con un coefficiente b che affetti il rapporto G/G′.
Si ha così una nuova formula: (manca la formula) Eguagliando i due valori di Q come risultano da (1) e (2) si ottiene: (manca la formula) Fissando Tα = 200° ÷ 175° come temperatura media in caldaia per le basse pressioni in uso (16 a 14 kg. per cmq.), adottando per G/G′ un rapporto variabile da 50 a 70, risulta b eguale a 7. Il valore di cHB/λ(Tf − Tα) quando s'introducano valori medî corrisponde a 4250 che si riduce a 3800 (circa il 90%) nel caso di vapore surriscaldato e la produzione oraria di vapore ottenibile con continuità sarà espressa in generale da: (manca la formula) in cui a = 4250 per vapore saturo e 3800 per vapore surriscaldato.
Ci resta da determinare il valore di q alle diverse velocità. Si tenga presente che una medesima velocità si può effettivamente ottenere con diverse aperture di regolatore e diversi gradi di ammissione nei cilindri. Ma poiché, riducendo l'apertura del regolatore, si abbassa la pressione del vapore con danno del rendimento della macchina, ammetteremo che il regolatore sia costantemente mantenuto tutto aperto, come, salvo eccezioni, si fa in pratica.
Mediante il rilievo dei diagrammi d'indicatore noi possiamo, sperimentando su una locomotiva, rilevare come varia lo sforzo in funzione della velocità ai varî gradi di ammissione. Vedremo che, fermi restando la pressione di lavoro e il grado di ammissione, al crescere della velocità lo sforzo diminuisce. A velocità elevatissima lo sforzo tende ad annullarsi. La riduzione dello sforzo in funzione della velocità è tanto più rapida quanto più elevato è il grado di ammissione. Se, facendo il prodotto sforzo × velocità, tracciamo le curve della potenza alle diverse velocità, vediamo ch'esse passano per un massimo che corrisponde a una velocità piuttosto elevata, dipendente dalle dimensioni della locomotiva.
Perché ciò avvenga è facile comprendere. Quando il vapore entra nei cilindri, trovandoli a temperatura inferiore alla propria, ne riscalda le pareti e subisce un principio di condensazione. Più tardi, verso la fine dell'espansione e durante lo scarico, la pressione e la temperatura essendosi abbassate, l'acqua che si era condensata nel periodo di ammissione si rievapora, riprendendo alle pareti il calore che aveva ceduto condensandosi.
I cilindri, dunque, funzionano alternativamente da condensatori e da generatori, e gli scambî di calore che si verificano così periodicamente in senso inverso fra vapore e metallo si traducono in un trasporto inutile dalla caldaia all'atmosfera di un certo numero di calorie che avrebbero potuto essere trasformate in lavoro meccanico se, durante le fasi attive della distribuzione, esse non si fossero, per così dire, nascoste nello spessore delle pareti. Il fenomeno, d'altronde molto complesso, è stato paragonato a una marea di calore, il cui flusso corrisponde all'ammissione, il riflusso allo scappamento. Le pareti dei cilindri possono anche assomigliarsi a una pompa aspirante e premente, che periodicamente sottrae calorie alla caldaia per mandarle in pura perdita nell'aria.
Per ridurre queste perdite, sono stati escogitati alcuni rimedî non tutti convenienti alla locomotiva, cui però sono stati applicati i due principali: la doppia espansione e il surriscaldamento. Quando la caduta totale di temperatura è suddivisa fra due cilindri successivi, l'importanza delle perdite di cui innanzi dicevamo è ridotta alla metà di quella che si avrebbe in un cilindro unico equivalente. Se le perdite dovute alle condensazioni si sommassero, è chiaro che il vantaggio sarebbe nullo; vi sarebbero anche delle ragioni perché diventasse negativo. Ma non è così; è la stessa quantità di vapore che si condensa e si rievapora successivamente in ciascun cilindro. Sono le stesse calorie che, successivamente cedute e riprese alle pareti del cilindro ad alta pressione, servono dopo a riscaldare quelle del cilindro a bassa pressione.
In cambio di una pompa che aspira le calorie dalla caldaia per disperderle nell'atmosfera, se ne hanno due, accoppiate in serie: esse non cumulano la loro portata e la perdita totale cui dànno luogo è presso a poco la metà di quella che si avrebbe con la pompa unica che sostituiscono. Invece di ridurre le perdite di condensazione alla metà, si ridurrebbero al terzo, al quarto, ecc., se, in luogo di suddividere la caduta di temperatura fra due cilindri, la si dividesse fra tre, quattro o più cilindri successivi. Ma nel caso della locomotiva, poiché l'addizione di ogni cilindro in più porta con sé necessariamente l'aggiunta di nuovi organi di trasmissione e di distribuzione, il cui movimento assorbe sempre una frazione non disprezzabile del lavoro sviluppaio dal vapore (si arriva così rapidamente al limite per il quale ciò che si guadagna sul lavoro utile si perde sul lavoro indicato), non si è mai andati oltre la doppia espansione.
In differente modo agisce il surriscaldamento. Fornendo al vapore saturo delle calorie supplementari, se ne diminuisce considerevolmente il coefficiente di conduttività e di trasmissibilità del calore alle pareti del cilindro. In luogo di mettere in presenza, nell'interno del cilindro, due corpi, uno metallico, l'altro allo stato di vapore saturo, che hanno la tendenza a cedersi scambievolmente calore, si ha un fluido meno sensibile ai cambiamenti di temperatura e che meno si presta agli scambî di calore. Tuttavia, anche quando è spinto a 100° e più in là dal punto di saturazione, il surriscaldamento non basta ad impedire le condensazioni ma le ritarda, le limita e procura così un'economia di combustibile paragonabile a quella che si ottiene con la doppia espansione. Nulla osta - e lo si fa quasi sempre nelle costruzioni moderne - che i due provvedimenti siano applicati alla stessa macchina per cumularne i vantaggi.
Conviene, dunque, esaminare il consumo di vapore separatamente per ogni tipo di macchina. Da estesi esperimenti sarebbe risultato che il minimo consumo di vapore per cavallo-ora è il seguente: a) per locomotiva a semplice espansione kg. 11,5; b) per locomotiva a doppia espansione a 2 cilindri kg. 10,3; c) per locomotiva a doppia espansione a 4 cilindri kg. 9,7; d) per vapore surriscaldato a semplice espansione kg. 6,7; e) per locomotiva a vapore surriscaldato e doppia espansione kg. 6,2.
Questi valori di q furono ottenuti in corrispondenza a un dato rapporto fra la pressione media e la pressione in caldaia. In tal modo, mentre da una parte si otteneva la potenza massima, dall'altra si conosceva la pressione media, che ci dà il valore dello sforzo medio Fm = pmd2l/D corrispondente alla detta potenza. Dalla relazione Ni = VmFm/270 si ricava il valore di Vm, che è la velocità più conveniente dal punto di vista del consumo di vapore. La velocità più conveniente corrisponde a una pressione media che è di kg. 3,6 nelle locomotive a semplice espansione, di kg. 3,4 nelle locomotive a doppia espansione, sinché la pressione in caldaia p non supera 12 kg. per cmq.; cresce di o,03 per kg. nel caso di pressioni in caldaia superiori ai 12 kg/cmq. Si può scrivere Fm = 3,4 ÷ 3,6 [i + o,03 (p − 12)] d2l/D. Noti che siano, per le precedenti formule, Fm, Vm, la caratteristica meccanica risulta dall'espressione: (manca la formula) Le curve caratteristiche così ottenute ci dànno lo sforzo e la potenza ai cilindri. Ma occorre anche la nozione dello sforzo e della potenza alla periferia delle ruote e al gancio. Le quantità alla periferia servono per porre lo sforzo in relazione con l'aderenza e quelle al gancio per il calcolo delle prestazioni, cioè del carico che la locomotiva può rimorchiare alle diverse pendenze ed alle diverse velocità.
Per passare dallo sforzo nei cilindri, cioè indicato, allo sforzo periferico, occorre tener conto delle perdite nel meccanismo che generalmente si valutano al 10 per cento. Per valutare lo sforzo al gancio, si deve sottrarre dallo sforzo alla periferia la resistenza dovuta alla locomotiva che, oltre a trascinare il treno, deve trascinare sé stessa. Siccome però una misura alla periferia è difficile, richiedendo grandi impianti di prova, così si fa direttamente il passaggio dallo sforzo indicato allo sforzo al gancio ed anzi le formule con cui si calcola la resistenza delle locomotive (v. trazione) comprendono di solito le perdite del meccanismo. Lo sforzo al gancio può, del resto, essere facilmente dedotto da misure dirette con dinamometri montati su carri dinamometrici che permettono di registrare gli sforzi e metterli in relazione con contemporanee misure di velocità per dedurre la potenza, come si dirà ora.
Si ricordi, poi, che la caratteristica meccanica, rappresentata, come abbiamo visto, da un'iperbole, subisce nel periodo iniziale una deformazione dovuta all'aderenza. Infatti alle piccole velocità lo sforzo risulterebbe teoricamente infinito, ma in realtà è limitato dalle dimensioni dei cilindri e subisce anche la limitazione dell'aderenza. Lo sforzo nei cilindri ha un valore massimo che abbiamo visto potersi così valutare: F = 0,85 pd2l/D essendo p la pressione di timbro e 0,85 un coefficiente che tien conto della perdita di pressione quale si verifica nel percorso del vapore dalla caldaia al cilindro. In una locomotiva ben costruita lo sforzo massimo di cui innanzi è sempre superiore all'aderenza media, che può con qualche espediente, p. es. con spargimento di sabbia, essere accresciuta, mentre lo sforzo dipendente dalle dimensioni dei cilindri e dalla pressione di timbro, non potrebbe in alcun modo subire aumento. In realtà lo sforzo iniziale deve essere riportato al valore dell'aderenza mediante la riduzione della pressione di timbro, ciò che si ottiene strozzando il vapore, cioè aprendo e chiudendo più volte il regolatore.
Ciò posto, lo sforzo all'inizio rimane pressoché costante e all'incirca eguale al limite rappresentato dall'aderenza raccordandosi, poi, all'iperbole che rappresenta le variazioni dello sforzo al variare della velocità e quindi del vapore nei cilindri. Riportiamo nella fig. 3 le curve dello sforzo e della potenza al gancio desunte mediante misure dinamometriche per una locomotiva americana doppia (cioè con due caldaie e due meccanismi sullo stesso telaio snodato) di recente costruzione, che è pure un esempio delle maggiori potenze finora raggiunte con la locomotiva. Si nota sulla figura che la potenza massima raggiunta è di circa 3600 cavalli, corrispondente alla velocità di 67 km./ora, mentre lo sforzo al gancio è ancora di kg. 10.000 alla velocità di 90 km./ora.
Esperimenti sulle locomotive.
Ha grandissima importanza lo studio sperimentale della locomotiva, cioè la ricerca del valore dello sforzo e della potenza in funzione della velocità, del consumo di vapore per cavallo-ora, ecc. Si ricorre per tale scopo a una serie di apparecchi di cui daremo sommaria notizia. Essi consistono in un sistema (dinamometro) per la misura degli sforzi di trazione e di compressione trasmessi dal gancio della locomotiva, di un tachimetro per la misura della velocità, di un ergometro per la misura del lavoro meccanico sviluppato nella trazione, dell'anemometro per la determinazione della pressione del vento e di altri apparecchi accessorî. Descriveremo i principali di detti apparecchi, lasciando da parte quelli che s'incontrano in applicazioni analoghe.
Per la misura degli sforzi di trazione e di compressione si ricorre ad apparecchi idraulici nei quali le reazioni dell'asta di trazione e dei respingenti sono trasmesse a un pistone che si muove in un cilindro pieno di liquido appropriato e fissato al telaio del carro. La pressione idraulica generata dal pistone nel cilindro si propaga attraverso un sistema di tubi sino al pistone di un altro piccolo cilindro registratore, il cui movimento è limitato da una molla antagonista esattamente calibrata. Lo spostamento del pistone nel cilindro registratore è, dunque, proporzionale allo sforzo di trazione sull'asta o di compressione sui respingenti, tenuto conto della sezione dei due stantuffi idraulicamente collegati e della flessibilità della molla applicata al cilindro registratore.
Di tachimetri esistono tipi svariatissimi. Quello più adoperato, sui carri dinamometrici (tipo Amsler) è costituito da una sfera di acciaio (fig. 4) che rimane a contatto con quattro rotelle A, B, C, D, di cui le due prime sono conducenti e hanno i due assi a 90° fra loro e posti in uno stesso piano passante per il centro della sfera. Le altre due rotelle sono condotte e restano in un piano normale al primo: sono per di più congiunte fra loro da un quadro E, suscettibile di girare intorno a un asse passante anch'esso per il centro della sfera. Se A e B compissero lo stesso numero di giri, la sfera girerebbe intorno a un asse che si manterrebbe in posizione simmetrica rispetto alle due rotelle, ma se queste hanno velocità differenti, la sfera girerà intorno all'asse xx, la cui posizione è determinata dal rapporto fra le due velocità periferiche di A e di B. A sua volta il quadro E con le rotelle C e D si sposterà in guisa da restare nel piano perpendicolare a xx, non potendosi produrre tra sfera e rotelle strisciamento, ma solo rotolamento che dà luogo al minimo attrito. Lo spostamento del piano in cui resta il quadro sarà, dunque, identico allo spostamento della sfera e ce ne potrà fornire la misura.
Se diamo alla rotella A una velocità costante e prestabilita v1 e alla rotella B la velocità del treno v2 facendola mettere in moto da un asse del carro dinamometrico, questa velocità v2 sarà proporzionale a tg α. La rotella A è mantenuta a velocità rigorosamente costante da un piccolo motore elettrico munito di regolatore a forza centrifuga e la misura di tg α moltiplicata per una costante (vi) ci darà in ogni momento la velocità istantanea del treno.
Il nome di ergometro è dato in generale a un apparecchio che registra il lavoro meccanico compiuto da determinate forze; ma nel caso della locomotiva conviene tener conto separato delle forze dovute alla resistenza al moto dei veicoli da quelle dovute alla pendenza e all'inerzia per poter determinare, quando occorre, l'entità delle resistenze in funzione della velocità. Sia M la massa di un treno che percorre una salita di pendenza tg α e supponiamo ch'esso subisca contemporaneamente un'accelerazione a: lo sforzo totale sarà F = M (a + g tg α) e il lavoro corrispondente L = M ʃ (a + g tg α) ds.
Per la determinazione di L si ricorre a un apparecchio (ergometro d'inerzia) costituito essenzialmente da una massa pendolare che è libera di oscillare in un piano parallelo alla direzione della marcia del treno (fig. 5). A convoglio fermo o in caso di velocità uniforme alla pendenza tg α, il pendolo P rimane in posizione verticale, facendo un angolo di 90° + α con la direzione dello spostamento del carro. Se, invece, il treno subisce l'accelerazione a, il pendolo resta indietro rispetto alla sua precedente posizione di equilibrio di un certo angolo β, di modo che la deviazione totale del pendolo per rapporto al piano del carro, allorché questo è contemporaneamente esposto a una pendenza in salita e ad un'accelerazione a è β + α = ϕ. Se m è la massa del pendolo, la forza d'inerzia ma sarà in equilibrio col peso mg e la tensione N dell'asta del pendolo. Sarà allora: (manca la formula) Siccome l'angolo α è sempre molto piccolo, si può fare sen α = tg α e cos α = 1; è quindi g tg ϕ = a + g tg α. Ma abbiamo già trovato F = M (a + g tg α): perciò è anche F = Mg tg ϕ, da cui: L'ergometro è disposto in maniera tale che il registratore traccia due diagrammi continui sovrapposti le cui ordinate sono proporzionali rispettivamente a tg ϕ ed a ʃ tg ϕ ds, risultato ottenuto nella maniera in seguito descritta.
Una leva capace di girare intorno a un asse verticale T (fig. 6) abbraccia alla sua estremità in forma di forchetta l'asta del pendolo; nella posizione di riposo la leva a forchetta forma con l'asta del pendolo un angolo retto. Ogni deviazione del pendolo in avanti o all'indietro della sua posizione di riposo di un angolo ϕ provoca una rotazione della forchetta di un angolo ψ nel suo piano orizzontale. Durante lo spostamento dei due organi si ha ad ogni istante la relazione EO??? tg ϕ = ET??? tg ψ. In questa relazione le quantità EO??? ed ET??? sono determinate ed invariabili e possono essere scelte arbitrariamente per la costruzione dell'apparecchio. Si può, dunque, sostituire il rapporto ET???/EO??? con una costante C (costante dell'ergometro) e si avrà quindi: (manca la formula) Per registrare il valore C tg ψ sul diagramma un'asta HI, munita all'estremità della punta scrivente I, è articolata in H alla leva a forchetta TG. L'asta HI è guidata nella direzione del suo asse quindi la punta scrivente I registra sulla carta un'ordinata HK??? = TK??? tg ψ. Questa ordinata è, dunque, effettivamente proporzionale alla forza F.
La valutazione dell'espressione del lavoro L = ʃ tg ϕ ds si ottiene in modo analogo alla registrazione della velocità. Una sfera di acciaio (fig. 7) poggiante su una rotella C nel suo punto più basso è premuta da altra rotella C′ (le due rotelle C e C′ hanno la stessa proiezione sul disegno) contro le due rotelle A e B. Se la rotella B gira, la sfera è trascinata per attrito e prende anch'essa un movimento di rotazione intorno a un asse orizzontale parallelo all'asse di rotazione della rotella inferiore C. Questa rotella gira intorno a un perno orizzontale solidale all'estremità superiore dell'asse verticale passante per il punto T della figura precedente; la rotazione della rotella C intorno all'asse verticale è, dunque, eguale a quella della leva a forchetta, rotazione che a sua volta è determinata dalla deviazione del pendolo e dal valore di ψ. Per ogni rotazione della rotella B l'asse istantaneo di rotazione della sfera prenderà evidentemente una posizione tale che l'attrito al contatto con C risulti minimo, questo avverrà quando l'asse della rotella e l'asse istantaneo di rotazione della sfera saranno paralleli. Il braccio di leva per il trascinamento della sfera da parte della rotella B è ER = ET cos ϕ. La rotella A è trascinata per aderenza dalla sfera ed il braccio di leva determinante il suo trascinamento è DS = DT sen ψ. La rotella B riceve il suo movimento da uno degli assi del carro: la sua rotazione è, dunque, proporzionale allo spazio percorso dal treno. Se la rotella B compie un arco s della sua circonferenza, la sfera subisce una rotazione corrispondente di un angolo δ intorno all'asse istantaneo ER. Se si ammette che al punto di contatto E non può prodursi alcuno strisciamento ma solo un rotolamento fra superficie che si toccano, la superficie della sfera compirà nel punto E un percorso eguale all'arco descritto da B; si avrà, dunque: (manca la formula) Ma poiché ER??? = ET??? cos ψ, sarà anche: Chiamiamo ora y il percorso descritto dalla rote la B nella sua rotazione: si avrà DS???δ = y e poiché DS??? = DT??? sen ψ sarà anche y = DT???δ sen ψ. Se ne deduce, DT??? ed ET??? essendo eguali come raggi della sfera, y/s = tg ψ, da cui: y = s tg ψ; dy = tg ψ ds; y = ʃ tg ψ ds. La rotazione totale della sfera è, quindi, data da A = C ʃ tg ψ ds = ʃ tg ψ ds e viene trasmessa a un'asta dentata munita alla sua estremità di una punta scrivente. Per poter contenere entro il nastro di carta il diagramma, che ha andamento crescente, si ricorre a un dispositivo che inverte il movimento della punta scrivente ogni qualvolta essa uscirebbe dai limiti della striscia. Il diagramma appare, cioè, come una linea a zig-zag.
Lo stesso principio del tachimetro e dell'ergometro può servire alla registrazione della potenza in cavalli. Si ha sempre una sfera di acciaio che riceve movimento da due rotelle A e B, la prima delle quali gira a velocità costante, mentre la seconda compie una rotazione proporzionale all'espressione L = C ʃ tg ψ ds, vale a dire al lavoro in kgm. sull'asta di trazione. L'asse della sfera farà ancora un angolo a, come quello definito per il caso del tachimetro e la velocità sarà ancora proporzionale a tg α. La potenza in cavalli essendo la derivata del lavoro sui tempi, sarà anch'essa proporzionale a tg α, che è pure la derivata dello spazio sui tempi (velocità). La registrazione si fa in modo analogo a quanto abbiamo detto per la velocità.
Locomotive moderne. -
La locomotiva a vapore attuale è macchina di forme antiche, volendosi con ciò dire che essa, pur essendo molto cresciuta di mole, non ha seguito l'evoluzione delle altre macchine, evoluzione intesa, in definitiva, ad accrescere il rendimento, oltre che a raggiungere alcuni scopi tecnici (elevazione della velocità, riduzione del peso per unità di potenza, ecc.). Oggi si può ritenere che il rendimento complessivo della locomotiva a vapore, inteso come rapporto fra il lavoro fornito al gancio e l'energia comunicata sotto specie di combustibile al focolare non superi l'8,50%.
Bisogna guardarsi dal confondere il rendimento sull'asse delle motrici fisse col rendimento al gancio della locomotiva che, dovendo anzitutto trasportare sè stessa, sopporta la perdita speciale corrispondente alla sua resistenza al moto come veicolo; tuttavia, dal momento che negli impianti fissi alla macchina a stantuffo sono stati sostituiti con vantaggio la turbina a vapore e il motore Diesel, è naturale che vi sia la tendenza ad adattare queste macchine di maggior rendimento alla locomotiva, pur sapendo ch'essa si giova di forme semplici e grossolane, atte a garantire dal pericolo di avarie in marcia.
Si aggiunga, restando nel solo campo della macchina a vapore in genere, che si sono ormai andate introducendo pressioni di lavoro molto elevate con vantaggio nel rendimento, mentre la locomotiva è rimasta alle pressioni modeste di 14 a 16 kg. per cmq. Tutto ciò spiega perché negli ultimi tempi si sia fatta una serie di tentativi che potranno portare alla prossima trasformazione di una macchina rimasta pressoché invariata nella sua intima consistenza durante tutto un secolo, in cui, specie nell'ultimo trentennio, le motrici termiche hanno subito perfezionamenti di grandissima portata.
I tipi che hanno formato oggetto dei nuovi studî si possono così classificare: locomotive con condensazione (a turbina); locomotive a elevate pressioni di vapore; locomotive a combustione interna. L'introduzione del condensatore per abbassare la temperatura finale del ciclo termico non è compatibile con l'ordinario tipo di motore a stantuffo perché i cilindri diverrebbero troppo grandi; è necessario ricorrere alla turbina a vapore. Si può, poi, elevare la temperatura iniziale del ciclo termico adottando alte pressioni di vapore e un surriscaldamento molto elevato; ciò ha indotto i costruttori ad abbandonare la caldaia classica della locomotiva per sostituirla con una caldaia a tubi d'acqua, anche quando si mantiene il motore a stantuffo. Evidentemente i due principî si possono combinare, applicando nel tempo stesso la condensazione col motore a turbina e le alte pressioni.
Quanto a distinguere le caldaie a bassa da quelle ad alta pressione, pur non essendo state finora superate nella pratica corrente le 14 ÷ 16 atmosfere, si può adottare per la bassa pressione il limite delle 25 atmosfere, questo essendo il timbro più elevato compatibile con la caldaia a tubi di fumo. Si riserba la classifica ad alta pressione per le locomotive con pressioni di timbro comprese fra 25 e 225 atmosfere (pressione critica), benché dalle 100 atmosfere in su si possa parlare di altissime pressioni, per ora difficili a raggiungersi, nonostante i progressi della metallurgia. Oltre le 25 atmosfere occorrono caldaie di tipo speciale.
Nel suo aspetto esterno (fig. 9) la turbolocomotiva, di cui esistono più tipi (Zoelly, Krupp, Belluzzo, ecc.), mantiene essenzialmente il carattere costruttivo della locomotiva a stantuffi con tender separato. Nella parte anteriore del telaio sono le turbine e il rotismo di riduzione. Le turbine sono due: una per la marcia avanti, l'altra per la marcia indietro, e restano ai due lati del rotismo. Esse compiono sei a settemila giri al minuto. Nel tipo Krupp (fig. 10) gl'ingranaggi del riduttore sono elicoidali e azionano per mezzo di un asse di rinvio un falso albero disposto all'altezza degli assi accoppiati e collegato nel modo solito con le ruote motrici. Il condensatore è posto dopo le turbine. La locomotiva a turbina ha bisogno di alcune macchine ausiliarie, consistenti nella pompa di circolazione d'acqua per il raffreddamento. nella pompa di alimentazione e nel compressore d'aria per i freni. Queste tre macchine vengono comandate per mezzo di tre alberi intermedî da una turbina apposita che manda anch'essa il suo scarico in uno dei condensatori. Altra piccola turbina comanda il ventilatore per il tiraggio, Di solito si ricorre a un preriscaldatore dell'acqua di alimentazione, situato nel tender. L'acqua di alimentazione e il vapore compiono un circuito chiuso, dalla caldaia, attraverso le turbine e il condensatore, con ritorno alla caldaia. Alle perdite che si verificano durante questo percorso, dovute alla valvola di sicurezza, posta sulla caldaia, al vapore che sfugge attraverso le scatole a stoppa, ecc., viene supplito da uno speciale vaporizzatore, il quale fornisce pure il vapore alla condotta del tiraggio.
Gli apparecchi ausiliarî delle locomotive a turbina sono dal più al meno grandi consumatori di energia. Inoltre il condensatore non può lavorare in modo così perfetto come nelle turbine di impianti fissi perché la quantità di acqua refrigerante è limitata e quindi si ha un piccolo grado di vuoto. Si sono registrate economie di consumo di combustibile rispetto alla locomotiva a stantuffo perfino del 40%, ma in percorsi con pochissime fermate. In servizî normali l'economia si riduce a metà. La locomotiva a turbina è molto costosa come spesa d'impianto e richiede anche maggiori spese di riparazione.
Per le locomotive ad alta pressione si adottano caldaie a tubi d'acqua di sistemi diversi. La fig. 11 rappresenta la caldaia della locomotiva Schmid-Henschel a pressione di 60 atm., che ha un corpo cilindrico riscaldato indirettamente da una serpentina contenente vapore a 90 kg./cmq. Il principio delle alte pressioni dà luogo ad alcune complicazioni nella costruzione delle locomotive, minori però di quelle richieste dal principio della condensazione. La vittoria resterà alle forme semplici. La locomotiva ad alta pressione e a scappamento, che non esige apparecchi ausiliarî complicati, sembra destinata a sostituire íl tipo attuale, offrendo un' economia di combustibile che alcuni valutano al 30%.
Il rendimento del motore Diesel è, come si sa, molto elevato. Si può raccogliere sull'albero dal 32 al 35% dell'energia comunicata col combustibile. Nel caso della locomotiva bisogna togliere da questa cifra almeno il 10%, rappresentato dalle perdite fra l'asse motore e il gancio di trazione; ma poi si deve tener conto che l'olio pesante costa, a pari potere calorifico, dal doppio al triplo del carbon fossile. Il motore Diesel esige di per sé alcuni apparecchi ausiliarî (una sorgente di energia per l'avviamento, ecc.) ma, applicato alla locomotiva, presenta dei difetti ai quali non si può ovviare senza aggiungere nuovi apparecchi supplementari, come il refrigerante dell'acqua e soprattutto un mezzo elastico di trasmissione fra l'albero del motore e le ruote motrici.
La locomotiva a motore Diesel diviene perciò più complicata, più pesante e più costosa (dal 50 al 100 per cento) di una locomotiva a vapore del tipo abituale. Tuttavia i tipi di locomotive Diesel di nuova costruzione sono già numerosi, con prevalenza di quelli di piccola mole e potenza ridotta, anche sotto forma di automotrici. Noi ci riferiremo alle vere e proprie locomotive a combustione interna, che si possono classificare secondo il sistema di trasmissione. La più usata è la trasmissione elettrica (il motore Diesel alimenta una dinamo la cui corrente va al motore elettrico) che si presta a una perfetta regolazione. Si è ricorso, poi, alla trasmissione idraulica, che però non ha risposto alle previsioni; in qualche caso le perdite fra il motore e il gancio hanno raggiunto il 58% della potenza indicata.
La trasmissione pneumatica, anch'essa sperimentata, presenta alcuni vantaggi. Anzitutto permette di utilizzare il calore dei gas di combustione e dell'acqua refrigerante per riscaldare il fluido motore, aumentando in questo modo il rendimento termico della macchina. Però presenta numerose difficoltà non ancora risolte. Una macchina da 1000 HP costruita in Germania funziona con l'aria compressa a 7 atmosfere, surriscaldata col calore dei gas di scappamento a 320° circa.
La trasmissione meccanica è stata adottata con successo dal russo prof. Lomonosov su una macchina posta in funzione sulle ferrovie sovietiche. Il rendimento raggiunto sarebbe del 29,4% mentre la Diesel elettrica non ha superato il 25%. I calcoli di convenienza nel confronto dei varî tipi sono piuttosto difficili perché, oltre a tener conto del costo di acquisto, del rendimento e del costo del combustibile, non bisogna dimenticare le spese dí riparazione. D'altra parte il percorso chilometrico annuale della locomotiva è, in generale, molto scarso, aggirandosi sui 25 ÷ 30 mila chilometri, pari a due o tre ore d'impiego al giorno. Questa osservazione chiarisce perché sono in generale preferibili le macchine di scarso costo di primo impianto anche se di costoso esercizio.
Vanno segnalate altre novità intese a perfezionare la comune macchina a stantuffo. Un tentativo di perfezionamento che sembra molto promettente, sebbene non si sia ancora diffuso, è quello che fa capo all'impiego del carbone polverizzato. La polvere di carbone viene immagazzinata in un serbatoio a tramoggia situato nel tender al posto delle vecchie casse per il carbone; una coclea cura l'alimentazione in polvere di carbone e un ventilatore dà l'aria che, mescolata al carbone, entra nel fornello attraverso alla piastra forata che chiude una specie di ugello o bruciatore. La regolazione della combustione si ottiene modificando il numero di giri delle coclee (queste sono almeno due, ma se ne possono avere anche più e ad ogni coclea corrisponde un bruciatore) in modo da aumentare o diminuire la quantità di polvere di carbone trasportata e introducendo in conseguenza una diversa quantità di aria. Il movimento del ventilatore e delle coclee alimentatrici è ottenuto per mezzo di una turbinetta a vapore, sull'albero della quale è calettata la parte mobile del ventilatore. I vantaggi che si attribuiscono all'applicazione della combustione a carbone polverizzato alle locomotive consistono nella possibilità di adoperare combustibile di poco prezzo, come lignite, detriti di miniera, ecc., nella facilità di adattamento della combustione alle esigenze dell'esercizio (si può adattare la produzione di vapore alle oscillazioni del consumo e far minore assegnamento sulla caldaia come serbatoio, ciò che porta alla riduzione del volume d'acqua in caldaia), nella rapidità di entrata in pressione, giacché una caldaia a combustione di carbone polverizzato giunge rapidamente ad alta temperatura (si riduce così il periodo preparatorio dell'accensione e si risparmia il corrispondente consumo di carbone: analogo effetto si ha durante le fermate) nel maggior rendimento, nella diminuita fatica del personale.
A parte ciò, si avverte il bisogno di far macchine di mole sempre maggiore perché, accrescendo la potenza di traziooe e perciò la velocità e il peso dei treni, si migliora il rendimento economico delle ferrovie (con la velocità si attiva maggior traffico, coi grandi treni si riduce il costo dell'esercizio). Le locomotive occupano sempre più la sagoma ferroviaria (spazio libero disponibile entro il contorno delle opere d'arte) sino ad assumere forme nuove. La locomotiva rappresentata dalla fig. 12, costruita recentemente in Inghilterra, oltre all'aspetto originale ha particolarità interessanti. Per raggiungere un'elevata pressione di timbro (kg. 31,60 per cmq.) si è ricorso alla caldaia a tubi d'acqua. Sul davanti il fumaiolo è abolito del tutto e il fasciame si protende a forma di ali che portano in alto il fumo e attenuano il rumore del vapore di scappamento, ciò che ha valso alla macchine il nome di Hush-Hush (zitta-zitta). Il corpo cilindrico ha perduto la sua forma abituale occupando tutta la sagoma.
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