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 Oggetto del messaggio: Ringraziamento per Marcopolo 77
MessaggioInviato: sabato 8 maggio 2010, 19:18 
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Ringrazio pubblicamente Marcopolo77 per avermi inviato un'anteprima delll'opera di Henri Vicenot!

Suggerisco a tutti coloro che amano la ferrovia in senso lato,di condividere con me il piacere di una buona lettura.


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 Oggetto del messaggio: Re: Ringraziamento per Marcopolo 77
MessaggioInviato: sabato 8 maggio 2010, 23:20 
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 Oggetto del messaggio: Re: Ringraziamento per Marcopolo 77
MessaggioInviato: domenica 9 maggio 2010, 13:58 
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Riallacciandomi alla coda di questa discussione viewtopic.php?f=20&t=45024&start=15, non posso non raccogliere il lusinghiero incoraggiamento di Crosshead ed in barba al Bon ton telematico, nonchè forse anche ai diritti d'autore, passo agli appassionati di questo forum il piccolo frutto di una mia ricerca alla scoperta delle "storie di Treni" narrate dal romanziere francese Henri Vincenot, in diversi suoi libri. Queste poche righe sono inedite in italiano e sono il frutto di qualche appunto, tratto dalla mia personale lettura del romanzo "la vie quotidienne dans le chemin de fer du XIX siècle" in lingua originale. L' opera tratta la storia della ferrovia in Francia e analizza la comparsa del fenomeno Treno da un punto di vista sociologico, economico e antropologico, attraverso l'umanità degli attori che lo costituiscono.
Non escludo in futuro di tradurre l'opera integralmente.


<<e' la LOCOMOTIVA!>> (prologo)

Lei è così accattivante, così vivente, col suo calore, il suo soffio, il suo respiro, il suo grido, la sua potenza, il gioco visibile dei suoi biellismi, tanto da accapparrarsi fin da subito l'attenzione generale.
Fu immediatamente personificata, aveva un nome, talvolta anche un soprannome, oltre al suo numero e il suo stemma. Tanto e così bene da far dimenticare la <<rotaia>>.
Perchè, in fin dei conti, letteralmente, la <<ferrovia>> innanzitutto non è che una coppia di barre metalliche parallele, con un certo profilo, posata al suolo per servire da <<via>> a questo <<cavallo d'acciaio>>, che per quanto focoso che sia, non può far nulla senza di loro!
Ma allora si va a cozzare contro l'individualismo, l'infatuazione, la cotta per amore! Per tutti, l'essenziale della ferrovia è LA LOCOMOTIVA!


"LA SQUADRA MACCHINISTA-FUOCHISTA"

Il macchinista e il fuochista, "la squadra", arrivavano al Deposito assieme. Più di frequente abitavano nella stessa caserma, nel ghetto ferroviario, e, con una breve fischiettata, il primo pronto anticipava l'altro.
Arrivavano tutti e due, camminando con lo stesso passo, pendenti dalla stessa parte per compensare il peso del paniere pieno.
Fianco a fianco, quasi sempre senza proferire parola, il macchinista più grande, più massiccio dell'altro, ma tutti e due calzanti gli stessi zoccoli di cuoio nero, dalle suole di legno, vestiti dagli stessi indumenti pattinati di fuliggine, questa polvere grassa, che impregna tutto e che gli sfregamenti rendono lucente. Questa polvere di carbone che è l'incubo delle massaie e delle lavandaie, perchè resiste al miglior sapone di Marsiglia e impregna anche la pelle dell'uomo, s'incrosta nei pori e si fissa, indelebile, alla base delle ciglia dando al buonuomo quello sguardo strano che marchia il personale viaggiante più fortemente di come farebbe una fusione in bronzo!
Li si vedeva passare, inseparabili come templari, nelle foschie notturne così come sotto il sole dell'estate e si era talmente abituati a vederli assieme che non li avresti più riconosciuti, incontrandoli separatamente.
Oltrepassavano la porta de "l'ufficio del foglio", puntavano e raggiungevano la rimessa dove la loro "bici" li aspettava, già alitante, calda come una giumenta da corsa ben coccolata.
Ci giravano attorno e salivano sulla piattaforma per buttare la prima occhiata ai comandi e al manometro, dividendosi i compiti con un solo gesto.
Questa coppia Maccinista-Fuochista ricorda abbastanza, fin dagli albori del binario, la coppia tradizionale della commedia classica: il maestro magnifico e sovrano, e il valletto coraggioso. E' questa coppia che faceva il buono ed il cattivo tempo nei Depositi; il maestro teneva botta a tutti gli ausiliari o i carpentieri e i meccanici, che formavano una corte attorno a lui.
O meglio così credeva. In realtà, è la locomotiva ad essere l'oggetto del rispetto e al tempo stesso del servilismo di tutto questo mondo. E' attorno a lei che la corte si riunisce, ma d'autorità, il macchinista-Don Giovanni e di rimbalzo, il fuochista-Sganarella si appropriano degli omaggi destinati a <<lei>>, e ciò per una ragione del tutto semplice, cioè che questi due uomini si identificano in <<lei>>. Curioso caso di transfert di cui vedremo gli effetti.
Non appena a bordo, il macchinista iniziava la lubrificazione.
La lubrificazione! Senza dubbio il lavoro più delicato. Se la riservava il "Signore"; non delegava i suoi poteri al suo operaio se non quando l'avesse ben indirizzato, di sua mano e avesse constatato che poteva fidarsi di lui, dopo molti anni di "matrimonio". Ciò non significava in alcun modo che era nata una certa familiarità tra loro. Le esigenze di un macchinista allo sguardo del suo fuochista non tolleravano alcuna familiarità e non bisognava affatto che un operaio si prendesse qualche libertà con il suo "Signore" con il pretesto che gli aveva "lasciato la buretta"! Non sia mai!
Il rigore del "Signore" allo sguardo del suo fuochista era spesso eccessivo e oltrepassava talvolta i limiti del servizio. Certi esercitavano le loro prerogative anche nella vita privata del loro fuochista. Non bisogna dimenticare che queste persone venivano, lo ripeto, dalle corporazioni e introducevano nelle ferrovie le usanze molto rudi che regolavano i rapporti tra Maestro e Operaio. Si vedrà più in là fino a che punto fosse spinta questa fedeltà a delle usanze che risalgono probabilmente ben oltre il Medio Evo, fino alle origini del drudismo.
Tornando alla lubrificazione, il "Signore" riteneva questo compito, non senza ragione, come capitale. Entrambi lo effettuavano in un modo rituale, secondo un cerimoniale accuratamente rispettato.
<<né troppo, né troppo poco, e solo dove serve!>> Questo era il motto della lubrificazione.
Era anche uno dei lavori più sorvegliati dall'Amministrazione, poiché l'olio lubrificante era molto costoso e si poteva facilmente riconoscere che un buon grassatore poteva usarne un terzo rispetto a quei "lecca-bielle" che hanno "la buretta facile" e "lubrificano anche i sassi".
Molto presto le Compagnie distribuirono peraltro dei premi per "economia d'olio" e, cosa curiosa, si capì che era ai "Signori" che sfruttavano meglio la loro "bici" che toccava la maggior parte dei premi; un detto correva un po' ovunque: <<non è lo sguattero che mette più burro a fare la miglior cucina.>>
Il "Signore" dunque lubrificava, mentre il fuochista "rivestiva" il suo fuoco, a modo suo, e faceva salire la pressione a regime; la macchina avanzava fin sotto la "colonna idraulica", che non era altro che una pompa d'acqua, con un supporto a T terminante con un manicotto di stoffa. Là, il fuochista riempiva i "water-ballasts" del suo tender al massimo della capacità; poi si passava al piano di caricamento per "fare il proprio tender" e alla sabbiera per fare il pieno di sabbia; quella sabbia fine che si iniettava sulle rotaie davanti le ruote motrici per evitare che slittassero lungo le rampe severe o negli avviamenti difficili. Dopodiché si vedeva procedere la macchina maestosamente, sebbene scalpitante, sul binario di uscita del Deposito ad attendere il segnale e andarsi a "mettere a limone".
Ed era tutto.
Non si sarebbe più visto questo equipaggio a tre, i due uomini e la macchina, se non l'indomani o due, tre giorni più tardi.
La locomotiva sciupata, scurita dall'abbronzatura della strada, con la "pelle" (è così che veniva chiamata la superficie della macchina) coperta di quella fine morchia fatta di vapore e fumo condensati, veniva a disporsi nel "fienile", come si soprannominavano le prime rimesse rettangolari, prima dell'apparizione delle "rotonde" dove i tronchini erano disposti a stella.
I compagni estinguevano il fuoco. Giusto il tempo di passare all'ufficio del foglio per fare la spunta, lasciare le "osservazioni" sul lavoro da eseguire sulla macchina dando anche una sbirciatina al foglio per conoscere il prossimo servizio e poi a <<chlofe>>!
<<a chlofe.>> Una delle espressioni che erano rimaste dal gergo dei cantieri. Senza dubbio una parola di origine germanica (schlafen=dormire), ma pronunciata alla maniera della Svevia o della Baviera dalle squadre di costruzioni dell'impresa Parent e Schaken che reclutavano da quelle parti là.
Il "Signore" e il suo valletto rientravano alla "caserma" con passo pesante. Li si vedeva passare nelle vie nere e strette il primo mattino, titubanti per la fatica nei loro zoccoli. Entravano senza far rumore, si svestivano come due festaioli nottambuli sul pianerottolo oppure all'inizio della scala per non svegliare nessuno.
La loro donna, dal canto suo, li sentiva, si alzava e, in camicia, ancora piena di sonno, li accoglieva, ravvivando il fuoco della stufa. Mentre lui si lavava la faccia, senza comunque riuscire ad eliminare la cenere nera attorno alle palpebre, lei faceva scaldare una zuppa densa; con le poche forze residue riusciva a stento a mandarla giù, poi si buttava nel letto ancora caldo, tirava la tenda del baldacchino e vi sprofondava.
La donna, ripresasi dal sonno, cominciava la sua giornata di domestica, senza nemmeno stendersi accanto a lui per non voler svegliare l'addormentato; sentiva partire a loro volta gli altri. Sapeva che erano Larmoy e Galluche che andavano a "fare" il 401 delle cinque e ventuno...
Così gli uni rientravano per coricarsi e gli altri lasciavano i loro letti nell'ora in cui il pechinese si rigira mollemente nella sua cuccia per l'ultima ronfatina, la migliore.
Eh già! Che strani individui questa gente della ferrovia!

(fine episodio)




"Il carbone"

Non appena preso un nuovo servizio, il primo pensiero del macchinista, dopo la lubrificazione, era quello di avere un "bel tender".
Con ciò voleva dire del bel carbone. Da notare che soprattutto all'inizio del XIX secolo il "carbone" era la lignite. Per indicare il carbon fossile, si diceva sempre "il carbone di terra". Il personale di macchina addottò la parola carbone e la utilizzò a lungo anche per indicare le formelle.
Dunque il carbone, il carbon fossile, giocava un ruolo considerevole nella vita di una squadra. E' il buon carbone che condizioneva il buon umore o la "rabbia" del Maestro e il suo garzone, dal momento che poteva fare del loro mestiere la più meravigliosa avventura o la sfacchinata più infernale; di qualità di carbone ce ne sono quante quelle di uomini: c'è la migliore o la peggiore! E di primo acchito, con un'occhiata, il maccinista vedeva se aveva un buono o un cattivo tender.
Gli si poteva dare della "ghiaia", carbone mescolato con pietrisco e altri corpi incombustibili, oppure del "cus-cus" parola importata dall'Algeria e che significava un carbone pastoso. Il "calavalvola" invece lasciava le valvole saldate alla loro sede. La "farinata", lo si indovina, era della polvere che soffocava il fuoco o si ammucchiava nel camino senza bruciare. C'era pure quello che faceva "la torta sulla griglia" che obbligava a capovolgere il fuoco in piena linea e rifarne un altro; o il "budino" che formava un'incredibile pasta colante quando andava in incandescenza e bloccava tutto.
Il signor macchinista non si interessava soltanto della qualità del carbone, ma anche della quantità. Poiché i carbonai cercavano, sgraffignado un chilo di qua e uno di là, di guadagnarci qualcosa, dal momento che poi lo trafficavano. Sul piano di caricamento, Violente discussioni, spesso accompagnate da zuffe, nascevano tra il fuochista e quei vili subalterni che venivano chiamati "carbonai".[...]
Il modo più semplice per avere una "razione" di carbone era di approfittare della rapidità delle operazioni di caricamento per lasciarne cadere da qualche cesta, al momento di versarlo nel tender.
I macchinisti vigilavano ferocemente. Soprattutto i "carognoni". Si chiamavano così i "Signori" maniaci del risparmio. Quelli che in piena linea avrebbero rischiato la loro vita per un pezzetto di carbone o che si sarebbero buttati nel fuoco per riprendersene un po' in dietro.
Ma era "in strada" che questi erano terribili! Se avevano detto al compagno: <<metti undici palate nella "padella">> e inavvertitamente il fuochista prendeva lo slancio per la dodicesima, il vecchio, con un calcio secco alzava il contrappeso dello sportello del focolare ed era contro lo sportello che pala, carbone e fuochista finivano per schiantarsi. Avrebbe fatto andare in bestia anche il più calmo dei gagliardi, soprattutto se era già di per sè stremato della fatica.
In quei casi arrivavano al punto che il compagno, spinto al limite della sopportazione, prendesse la pala e facesse quello che non bisognava fare. Ma come? Si è quello che si è! E di sicuro quel gesto fu fatto e ... ben fatto un sacco di volte, perché accadeva che alcuni "signori" si presentassero sanguinanti alla stazione di testa, ma mai agli uffici non si seppe nemmeno una sola parola della storia. Anche interpellati dal Capo deposito, nessuno parlava. Il macchinista era "caduto sulla piattaforma per una scossa". Niente di più.
Il Capo deposito dubitava senz'altro di qualcosa, poiché i "carognoni" erano noti, ma le bocche restavano cucite.
Perciò il "Signore", qualche giorno dopo, chiedeva di cambiare compagno. Quello non era più coraggioso come all'inizio o meglio lui stesso non si sentiva più capace di sopportarlo. Si intuiva il dramma e si cambiava squadra. Si "smaritava" l'uno dall'altro e la novella faceva fuoco a lungo nel Deposito.
Non c'è nulla come una "storia di carbone" per demolire una "coppia", tutti lo sanno. E analogamente si può ben dire che questa famosa incompatibilità caratteriale che serve da pretesto per tanti divorzi proviene molto spesso dal modo di fare fuoco!
Già! Il combustibile era l'ossessione della giornata lavorativa dei "musi neri". E a dirla tutta, quando le ceste di carbone venivano svuotate nel tender, poiché i carbonai lo caricavano a ceste da cinquanta chili, era ben raro che il "Signore" non dicesse al suo compagno:<< ma guarda un po' sto tender! Con sta roba qua avremo un gran culo a fare solo un'ora di ritardo!>>
Il più delle volte non era che una precauzione oratoria. Un modo per giustificarsi in anticipo di un eventuale ritardo. Ma accadeva, ahimè, che il carbone fosse veramente pessimo. La strada allora diventava un calvario: la pressione crollava, qualunque cosa si facesse, e il compagno usava ben più l'attizzatoio e l'uncino, che la pala. Sudava sangue e acqua, ma la pressione continuava a scendere, mentre si "mescolava il purè" e si "seminavano minuti"!!!
Tutto ciò lo si chiamava molto semplicemente "la marcia funebre" e se questa, talvolta, finiva con l'arresto in piena linea si faceva fiasco. Si "faceva Culo", come una volgare carretta.
La maggior parte delle volte succedeva alla sommità di una rampa, ben inteso; in una di quelle trincee che caratterizzano spesso il punto più elevato di una salita, poiché in piano o lungo un tracciato zig zagato si poteva al massimo "fare delle colate", slittare e "rivestirsi in marcia". Ma in quel caso là, altro che colate. A poco a poco il convoglio perdeva velocità. Sulla piattaforma si consumava una terribile tragedia. I due uomini si guardavano in cagnesco, ciascuno riteneva l'altro responsabile di questo "interramento".
Ma bisognava ad un certo punto arrendersi all'evidenza, era "un fiasco"!
Si fischiava ai freni, cioè, con un colpo di fischio particolare, che sembrava un lungo singhiozzo di agonia, si avvisava i frenatori affinché chiudessero i freni per evitare che il convoglio andasse alla deriva, retrocedendo.
Come per caso un beffardo, tutto ciò accadeva non lontano da un ponte che varcava la trincea nel suo punto di culmine, un ponte che, per questa ragione, veniva chiamato "il Ponte dei Sospiri". Ne esiste uno in tutte le linee, alla sommità di tutte le rampe, e dopo più di un secolo dalla loro costruzione, si può certamente dire che abbiano sentito più che sospiri, digrignamenti di denti, imprecazioni, sonore bestemmie, crisi di rabbia impotenti!
Una volta là, si aumentava il tiraggio al massimo, aprendo gli uggelli di scappamento alla grande, si dava un colpo maestro con l'attizzatoio, si ricaricava il fuoco e si aspettava che "quella risalga".
"Quella" era la pressione e il morale della squadra.
Se non risaliva niente, non restava che "basculare", cioè espellere le scorie che ostruivano la griglia e rifare il fuoco. Si ripartiva, molto tempo dopo, se si poteva, lasciando un bel mucchietto di cenere in mezzo al binario, unico testimone dell'angoscia della squadra. E se non si ripartiva proprio si era alla "disperazione", ma questa è un'altra storia, come direbbe Kipling.
E tutti questi drammi avevano il loro inizio, lo si può proprio dire, già sulla staccionata dove l'armata dei "carbonai" si attivavano, nella polvere nera, riempiendo le ceste con la pala, pesavano, portavano in spalla, rigettavano le ceste vuote agli spalatori; e tutto ciò lo si faceva sotto la pioggia, la neve o il sole cocente, come un cupo balletto di ergastolani senza speranza.

(fine episodio) H. Vincenot, La via quotidienne dans les chemins de fer au XIX siècle,
traduzione di marcopolo77



"Il lampista"

Sul marciapiede della stazione, si incrociava anche il lampista.
<<il lampista?! - mi diceva il nonno- ecco uno che tutti pensano di conoscere per aver sentito dire che era l'ultimo degli ultimi, il ferroviere di ultima classe, lo zimbello! Ancora un errore che bisogna combattere, per l'onore della lampisteria!!!
Come dice la parola stessa, il lampista è colui che si occupa delle lampade, cioè di tutte le lampade della stazione: lampade da tavolo, lampade dei marciapiede, lampade dei sentieri, ma soprattutto le lampade degli scambi, o per meglio dire, le lampade di posizione degli scambi! [le marmotte; ndr] E in alcune stazioni ci sono anche ben duecento scambi! E in più le "lampade di coda"! Quelle lampade che agganciate al vagone di coda, segnalano a tutti, con il loro occhio rosso, che il treno è intero!
- Importante! Capitale!
<<immaginiamo soltanto che un treno lasci dietro di sé uno o più vagoni a causa della rottura di un gancio! Avete presente una catastrofe? Quei vagoni persi che si allontanano dal convoglio, rallentano fino a fermarsi in piena linea? Ora, se il casellante del posto di blocco sucessivo si accorge che il treno appena transitato non ha l'occhio rosso in cima alla sua coda, intende che il treno non è completo, chiude i segnali di protezione e attua le disposizioni per fermare tutta la circolazione in entrambe le direzioni!
In che modo?
Beh, non sono mica affari del lampista, sono affari del casellante e dei dirigenti di movimento delle stazioni!
Ma senza la lanterna di coda... quindi senza il lampista, sarebbe la catastrofe!
Senza lampista, niente segnali, durante la notte; quindi senza lampista la ferrovia non può esistere: a ben vedere quindi il lampista è il più inportante dei ferrovieri! Tutti lo possono capire!>>
Giunti alla conclusione del suo luminoso sillogismo, il nonno scoppiava a ridere e non dimenticava di aggiungere:
<<sacra confraternita dove ciascuno possa dire: senza di me i treni non potrebbero correre!>>
Dunque il lampista non era l'ultimo arrivato, il poveraccio preso in giro da tutti! Niente affatto! Che non si creda che un lampista si accontenti di strofinare le padelline, di riempire le riserve di olio o petrolio! Questi lavoretti non erano che la quarta o la quinta mansione, il suo "solletichino", di cui era incaricato; ma il lampista, il capo della lampisteria, era un signore capace di fabbricare, a partire da una massa di latta o di rame, la lampada o la buretta più complicata che si possa immaginare a partire da qualunque disegno o anche senza alcun disegno!
Tentate di tracciare lo sviluppo in piano di un tronco di cono obliquo che penetra un cilindro a base ovale con fuochi asimmetrici! E provate a saldare tutto questo! E che la cosa resista alla pressione!...Un lampista, era pertanto una persona che sapeva farlo, poiché veniva reclutato dal consorzio dei "compagni calderai".
Certamente, non lo si sarebbe detto vedendolo col suo lungo grembiule a pettorina, pieno di chiazze d'olio e petrolio, trasportare venti o trenta lanterne di segnali sospese e ben allineate sul suo piccolo veicolo. Non ispirava fiducia quando attraversava i binari,i marciapiedi, per andare ad appendere i suoi lumi a tutti i segnali, da quelli d'entrata ed uscita, fino a quelli degli scambi... E ce n'erano ovunque!
Per "guarnire" tutti i segnali, si faceva come minimo otto fino a dieci chilometri a piedi in alcune stazioni; per questo aveva sempre un aspetto stanco e sembrava proprio modesta persona! Un semplice accensore di riverberi!
Pertanto era un uomo che conosceva la propria "geometria descrittiva" e portava sulle spalle la responsabilità di centinaia di vite umane!

(fine episodio)

L'acrobata. (un breve episodio)

Quando i borghesi si raggruppavano in crocchi sui marciapiedi, era per vedere tutti questi personnaggi [ i ferrovieri; ndr] al lavoro, ma quello che riscosse maggior successo fu "l'acrobata".
Era un addetto dalla lampisteria. All'arrivo dei treni della sera, si arrampicava sui tetti delle carrozze, tenendo sulla sinistra un bidone di olio o di petrolio, sulla destra un torcia accesa. Per raggiungere le tettoie dei veicoli utilizzava una scaletta fissata per questo scopo.
Percorreva così l'intero convoglio, in tutta la sua lunghezza, marciando o piuttosto correndo sui tetti. Apriva i coperchi superiori delle lampade degli scompartimenti, eventualmente ne rimpinguava la riserva e servendosi della sua torcia accesa, infiammava lo stoppino.
In questa maniera saltava acrobaticamente da una carrozza all'altra, il che suscitava l'ammirazione di grandi e piccini, senza far sembrare molto pericoloso il salto di un metro e trenta, lo spazio tra le carrozze, che doveva passare, impicciato com'era dal suo grembiulone, riempito di utensili, più la torcia e con ai piedi degli scarponi chiodati.
La cosa, poi, si complicava ancor di più se il tetto era umido o coperto di brina o neve. Infine il lavoro doveva essere compiuto molto rapidamente, mentre il treno era in sosta e si vedeva "l'acrobata" volteggiare a passo di ginnastica, brandendo la sua fiamma fumosa. Tutti si divertivano moltissimo, tranne lui, beninteso.
Sfortunatamente, succedeva che l'acrobata perdesse un passo o scivolasse o che il treno facesse una manovra prima ch'egli fosse sceso dal suo trespolo. Il semplice contraccolpo di una locomotiva messa in testa provocava un movimento avanti-indietro spesso assai violento che si trasmetteva su tutto il treno. Bisognava allora che l'acrobata, prevista la manovra dal colpo di fischio del manovratore, si aggrappasse fermamente alla tettoia per non essere sbilanciato.
Si riduceva questo pericolo costruendo ad ogni estremità delle carrozze un piccolo predellino che diminuiva il salto di quasi un terzo. Fin tanto che non si inventò e venne installata l'illuminazione elettrica nelle carrozze viaggiatori, cioè nel XX secolo, l'acrobata dunque continuò nei suoi salti di gatto e nelle sue evoluzioni aeree.
Ci si potrà chiedere perché le lampade delle carrozze viaggiatori si accendevano dal tetto, obbligando così un uomo a questo pericoloso volteggio? E' molto semplice: le carrozze erano di legno e per ragioni di sicurezza, era prescritto di equipaggiarle di lampade disposte in modo tale da poter essere accese soltanto dall'esterno.
(fine episodio)


Il padre "Scaldino"

Prima del sistema di riscaldamento a vapore, le carrozze di terza e quarta classe non erano riscaldate per niente, ciò giustificava le battute dei caricaturisti, notoriamente Daumier che rappresentava, non senza crudeltà, gli addetti specializzati allo "scarico dei passeggeri surgelati". Li si vedeva trasportare delle specie di ghiaccioli che altro non erano se non dei viaggiatori "assaggiati dal gelo".
Per la prima e la seconda classe c'erano gli scaldini, che erano anch'essi di competenza del lampista.
Nelle grandi stazioni di scalo e biforcazione, si preparavano scaldini caldi nei locali della lampisteria; non appena la temperatura atmosferica si abbassava sotto un certo livello, determinato da un "ordine di servizio", il "Padre scaldino" aveva il compito di trovarsi sul marciapiede all'arrivo di ogni treno passeggeri, con dei carrettini per ritirare gli scaldini freddi e rimpiazzarli con scaldini caldi.
Con il loro aiuto si apriva le porte degli scompartimenti gridando <<scaldini! Alzare le gambe Signore e Signori!>>
I passeggeri sollevavano tutti quanti le gambe e "Padre scaldino" faceva lo scambio. Le signore che a quell'epoca non dovevano mostrare le gambe più in su delle caviglie, pena il definitivo disonore, cacciavano un grido di pudore e Padre scaldino, secondo la tradizione immortalata dai caricaturisti, sparava:
<<niente paura, signorina mia, sono abituato! Sono come gli scaldini che mi riprendo: tutto ciò mi lascia freddo!>>
E' inutile dire che il servizio degli scaldini era importante nelle regioni fredde e, in particolare, sulle linee di montagna dove ciò costituiva il maggior pensiero dei capi stazione. Nel corso dei terribili inverni del 1849, 1851, 1862, 1870-71, 1893, per non parlare che dei più rigidi, il termometro scese a meno 30°[...] e successe che gli scaldini, raffreddati dopo nemmeno trenta chilometri, scricchiolassero sotto l'effetto del gelo.
Si abbandonarono gli scaldini ad acqua calda per quelli a sabbia calda, quantomeno nelle regioni fredde.
A titolo divulgativo diciamo che questi famosi scaldini erano delle lunghe scatole di rame stagnato. Ce ne volevano due a compartimento.

(fine episodio)


I clan - Quelli della locomotiva: i "musi neri"

Così, a torto o a ragione, il servizio dalla Trazione prese questo pretesto per affermare che era l'alfa e l'omega dell'impresa ferroviaria.
Il personale di questo servizio veniva, come già visto, dall'artigianato del metallo, utilizzato dalle imprese di costruzione [della ferrovia; ndr].
Dunque dalle corporazioni. Razza irascibile e fiera delle proprie conoscenze, gelosa delle proprie prerogative, già divisa in caste e intrattabile sul piano della coscienza professionale e dell'onore, intangibile, del "consorzio".
Il più esigente, sotto tutti gli aspetti, e il più invidiato, era naturalmente il Macchinista. Proveniva quasi sempre dalla forgia, altrimenti da una bottega di carpentiere o calderaio. Sin dall'inizio, pretese che tutti, perfino il suo fuochista, lo chiamassero "Signore".
Portò da subito il "gibus", un cappello alto di forma, che doveva essere scomodissimo, soprattutto prima dell'istallazione del paravento sulle macchine, avvenuta dopo il 1860.
Ci si può domandare come quest'uomo potesse mantenere sulla testa questo copricapo ingombrante, lanciato a tutta velocità!
In realtà portava la tuba durante la presa di servizio al deposito, poi per la messa in testa della macchina. Conservava il... glorioso cappello anche davanti ai "volgari" impiegati di stazione, durante la partenza e giusto fino a quando il convoglio non avesse guadagnato l'aperta campagna, perché la folla, ammassata sulle banchine, lungo le vie, nei sobborghi e nei giardini di periferia, doveva avere di lui un'immagine prestigiosa, impeccabile, oltre alla certezza che egli fosse veramente il capo supremo di questo universo ambulante che è il Treno.
Ma non appena passate le barriere doganali e giunti in campagna, mollava il suo "alto di forma", lo riponeva con cura nello scrigno, si metteva un berrettino a caschetto più pratico, ad esempio, e si annodava un foulard al collo.
A quel punto era quasi identico al fuochista, fatto salvo che il compagno, maneggiando un quintale di carbone ogni quarto d'ora, era coperto da uno strato nerastro fatto di sudore e polvere.
Il fuochista era secco come un'aringa, mentre il macchinista aveva una tendenza a "prendere corpo".
I grandi signori della"specialità", notoriamente quelli dei treni passeggeri, spingevano la civetteria fino a rimettersi "l'alto di forma" ad ogni passaggio a livello per salutare galantemente la casellante che essi conoscevano di vista, intravvedendola ad ogni viaggio.
Ben inteso, facevano la stessa cosa anche ad ogni stazione, togliendosi il foulard, per rimetterselo nonappena usciti dall'agglomerato urbano.
Si narra anche casi di certi macchinisti che partivano in giacchetta, la toglievano in aperta campagna e la rimettevano ad ogni stazione, per non essere mai visti in tenuta "trascurata". E si rideva anche di quelli che nonostante la fortissima velocità del convoglio, apprezzato l'aspetto di una casellante, si infilanvano la giacchetta nell'avvicinarsi al passaggio a livello "galante", non senza avere azionato il fischio della locomotiva in un modo particolare per preavvisare l'oggetto della loro fiamma. Quello che si è chiamato "il fascino del fischio"! Certo, il regolamento prevedeva l'obbligo per i macchinisti di fischiare nell'avvicinamento di un passaggio a livello, ma ci sono tanti modi di fischiare! Come ci sono tanti modi di suonare un violino o un organo, ogni macchinista aveva il suo tocco, riconoscibile tra mille e nel quartiere della stazione nessuno si sbagliava: al colpo di fischio dato presso lo scambio di ingresso, la moglie metteva la zuppa a scaldare, poiché sapeva che
era il "suo" ad arrivare.

(continua...forse)


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Francesco


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Favolosi ricordi,Marcopolo devi assolutamente continuare! Una bella lezione di antropologia ferroviaria per gli appassionati delle odierne "scatole di sardine"!


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 Oggetto del messaggio: Re: Ringraziamento per Marcopolo 77
MessaggioInviato: domenica 9 maggio 2010, 23:12 
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Veramente belli, c'è dentro tutta l'atmosfera del vapore! :D

Ciao
Andy


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 Oggetto del messaggio: Re: Ringraziamento per Marcopolo 77
MessaggioInviato: lunedì 10 maggio 2010, 9:24 
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Ho trovato queste due edizioni:



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Volume che entrerà a far parte della mia biblioteca ferroviaria;ringrazio ancora Marcopolo per avermelo fatto conoscere.


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 Oggetto del messaggio: Re: Ringraziamento per Marcopolo 77
MessaggioInviato: lunedì 10 maggio 2010, 9:51 
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Da modesto conoscitore della letteratura francese, quella dell'Hachette è veramente carina, ma se aspetti stasera ti scannerizzo la mia: l'opera omnia ferroviaria di henri vincenot (5 romanzi) in un unico volume economico.

Altro consiglio, per le ferie estive :D , se non lo conosci, "la bestia Umana" di Zolà. Questo lo trovi in italiano in edizioni economiche tipo quelle da 2,00 Euri: IMPERDIBILE.


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 Oggetto del messaggio: Re: Ringraziamento per Marcopolo 77
MessaggioInviato: lunedì 10 maggio 2010, 20:24 
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Immagine

Prezzo di copertina 24 € in francia.


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 Oggetto del messaggio: Re: Ringraziamento per Marcopolo 77
MessaggioInviato: lunedì 21 giugno 2010, 16:47 
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MARCOPOLO77 ha scritto:
Altro consiglio, per le ferie estive :D , se non lo conosci, "la bestia Umana" di Zolà. Questo lo trovi in italiano in edizioni economiche tipo quelle da 2,00 Euri: IMPERDIBILE.


Per le serate invernali: il DVD del film. La scena iniziale è un cab ride da urlo con tanto di rifornimento d'acqua in corsa! E non mancano camei di rotabili famosissimi, non ultima l' autorail (Wagon Rapide WR) Bugatti.


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 Oggetto del messaggio: Re: Ringraziamento per Marcopolo 77
MessaggioInviato: lunedì 21 giugno 2010, 16:57 
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Il film in Italiano, però, ha un altro titolo: una cosa del tipo "gli angeli del male" o giù di lì.
Regista Jean Renoir.


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 Oggetto del messaggio: Re: Ringraziamento per Marcopolo 77
MessaggioInviato: lunedì 21 giugno 2010, 20:35 
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Per Saint

http://www.youtube.com/watch?v=7QoNL_yf62A&feature=related


Per Marcopolo

http://www.youtube.com/watch?v=tGVs46y70IA&feature=related


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 Oggetto del messaggio: Re: Ringraziamento per Marcopolo 77
MessaggioInviato: martedì 22 giugno 2010, 6:57 
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La 231 D era a doppia espansione, vero ?

(Grazie Crosshead, è un ottimo modo per cominciare la giornata)


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 Oggetto del messaggio: Re: Ringraziamento per Marcopolo 77
MessaggioInviato: martedì 22 giugno 2010, 13:44 
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Oui:les locomotives Pacific État sont célèbres grâce au cinéma. Le film de Jean Renoir tourné en 1938, la Bête Humaine fait honneur à ces machines. L'acteur Jean Gabin joue le rôle d'un mécanicien et Julien Carette son chauffeur. Les 231 G 592 et 231 F 632 ont été utilisées pour le film.

231 G
One of class 231.501-783
Express 4-6-2 (Pacific) locomotive, 4-cylinder compound



Grate area : 4,3 m²

Boiler pressure : 16 hectopièzes

Cylinder diameter :

HP (outside) …420 mm

LP (inside) …640 mm

Piston stroke … 650 mm

Dabeg poppet valve gear on both HP and LP cylinders.

Boiler water volume : 8500 litres.

Maximum horsepower: 2500

Consumption: water 15 m3 / hour maximum. Coal 1.5 to 2 T per 100 km.

Driving wheel diameter: 1,94 m
Weight in working order: 103,2 T

Length: 13,665m

Maximum speed in service: 130 km/h

Maximum speed on test: 155 km/h was attained

Maximum speed currently permitted by SNCF: 100 Km/h

Trailing load on level track:

600 t at 120 Km/h

500 t at 130 Km/h

Tender: 22 C 367



Capacity :

12 T coal

22 m² water (22,000 litres)

Empty weight 25,5 t

Loaded weight 60 t.




Immagine




Immagine Jean-Paul Geai


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 Oggetto del messaggio: Re: Ringraziamento per Marcopolo 77
MessaggioInviato: martedì 22 giugno 2010, 14:02 
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Mercì, Testacrocè!

E adesso rapidi: cosa nel film dice che la locomotiva è a doppia espansione ?

(Dovrei trattenermi, c'è già il quisss idiota...)


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