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Italiani,
Come da consuetudine mi pregio di parteciparVi un aneddoto in chiave natalizia (ivi compresa assai copiosa neve) con l'augurio che possiate trascorrere un sereno Natale - eventualmente cenando, come il Dux, con tortellini, cotechino, lenticchie e ciccioli di majale - e con l'augurio che l'anno a venire sia foriero di positivi cambiamenti per tutti noi.
NEVICATA A VIGONE
“Ove vi recate, giovinotto, sotto questa nevicata? Non sentite freddo, con quei calzoni corti?”
Addì 24 dicembre, anno XIX, vigilia del S. Natale. L’accelerato delle 17.30 per Saluzzo è in arrivo alla stazione di Vigone. Rari viandanti, infreddoliti, attendono sulla banchina l’arrivo del convoglio. Giunge fischiando la Littorina: trattasi del nuovissimo modello ALn772, appena entrato in servizio. Il giovine Vittorio, avanguardista, vi prende posto. A bordo, avvolti nei pastrani, immersi nei loro pensieri, stazionano passeggieri anziani, soprattutto donne, la sporta issata sulla reticella. La Littorina avanza rombante nel bujo della sera, ai suoi fari risplendon i fiocchi di nevi che sempre più copiosi turbinano nell’aria immota, gelida e fosca della campagna piemontese, Stazione di Moretta. Sale un uomo di media statura, dai modi virili, elegante, il Borsalino calato sul capo, il bavero alzato a celarne le fattezze. Mentr’egli, scossa la neve dal pastrano, si accomoda a sedere, ecco salire una giovine donna, il capo coperto d’un foulard a fiori, un pargolo al collo, un altro per mano, altri due più grandicelli che da soli si inerpican sui ripidi gradini. Nevica sempre più fitto. La Littorina s'avvia faticosamente, slittando. Saluzzo è ancora lontana … la Littorina non ce la fa più, ansima, slitta, combatte col manto di neve che ormai cela le rotaje, s’arrende.
“Signori, abbiate pazienza, siamo bloccati.”
“Che Dio ci aiuti!” esclama una vecchina. I bimbi scoppiano a piangere:
“Mamma, resteremo qui tutta la notte? Abbiamo tanta fame!”
L’ansia che serpeggia tra i passeggieri inizia a cedere il posto, nefasta, all’angoscia. Ma il giovine Vittorio, avanguardista, è preso da altri pensieri. Da tempo egli scruta il misterioso viaggiatore: il bavero, spostatosi, non riesce a celarne la mascella volitiva, lo sguardo altero, le rughe d’espressione che denotano in lui una mente superiore.
“Duce!” è tutto quel che riesce a dire, la voce spezzata dall’emozione.
“Du-ce! Du-ce! Du-ce!” TOC! Esclaman gli astanti, scattando in piedi nel saluto Romano.
“Ebbene sì, sono io. Ma sono in incognito, boja d’un mond leder: guardatevi bene dal dirlo, quando saremo arrivati! E questo vale per tutti, ci siamo capiti!”
Ove recavasi il Duce, in quella sera gelida e nevosa? Nessuno lo seppe mai con certezza. Viaggiava Egli solo, sprezzando il pericolo, senza scorta alcuna. Possiamo noi oggi impunemente svelarlo? Fu per recarsi ad un convegno amoroso: una Signora, spasimando bramosa infra le lenzuola, fervidamente Egli attendeva.
“Abbiamo tanta fame!”
Il pianto dei bimbi, interrompendo il palpito dei cuori, tutti ricondusse alla cruda realtà. Poteva il Duce restare insensibile al grido di dolore che in ogni parte della Littorina risuonava? Poteva Egli rischiare di giunger troppo tardi al convegno amoroso, ivi trovando che l’impaziente signora ad Egli negasse, piccatella, le sue grazie procaci? Mai. Si strappò di dosso il pastrano. Balzò dalla Littorina sul suolo innevato. Inspirò. Inspirò più che potette, parevano gli occhi sul punto di schizzargli dall’orbite. Emise poi un soffio, che dico, un soffio: un tornado, un turbine, un ciclone, una tromba d’aria, un tifone. Non si vide più nulla. Poi i fari della Littorina rischiarono la via verso Saluzzo, assolutamente nettata, lindissima, priva di qualsivoglia fiocco di neve.
“Macchinista, a me i comandi! Partiamo!”
“ Sì, Duce!” TOC!
Giunsero in perfetto orario, anzi, con qualche minuto d’anticipo. Vide il giovine Vittorio, avanguardista, il Duce ajutar nella discesa la donna, i bambini, le vecchie. Poi, sparì nella tenebra.
Camerati, m’è preso un tal groppo alla gola che devo salutarvi! A noi!
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